mercoledì 10 settembre 2014

Into the Wild

Nel Luglio del lontano 1992 un gruppo di cacciatori trovarono dentro un pulmino abbandonato in Alaska il corpo in decomposizione di un ragazzo.
Questa era stata la triste fine dell'incredibile avventura di Chris McCandless quando nell'Aprile dello stesso anno aveva deciso di avventurarsi dentro la natura selvaggia dell'Alaska.
Una storia del genere non poteva non essere spunto per un bellissimo film dalle immagini mozzafiato e che cerca di ripercorrere tutti i passi compiuti da quel coraggioso ragazzo che decise di scappare dalla vita di convenzioni che la società gli imponeva per andare alla ricerca di sè stesso.
Il film di Sean Penn è la libera trasposizione del libro di John Krakauer "Nelle terre estreme": Sean Penn non ha deciso di raccontare soltanto la vera storia di Chris ma ha provato a trasformare in termini cinematografici la voglia che ogni uomo ha di trovare la propria libertà.
Alex Supertramp è l'effige del bisogno umano di libertá dalle stesse catene che l'uomo si è costruito per soffocare il prorpio istinto animale.
L'uomo ha soffocato il suo istinto e sacrificato la sua libertà per sopravvivere alla natura, ha negato la sua vera essenza per diventare prigioniero delle sue stesse leggi. 
Numerosi sono gli scrittori e i filosofi che hanno diacusso questo argomento scavando tra ragione ed istinto e prigione sociale, e sono gli stessi ai quali Chris si ispira, ma nessuno di questi ha avuto l'ardire di fuggire come lui.
Chris riesce in due anni di viaggio a colmare i vuoti che i soldi ed una famiglia poco attenta non avevano mai colmato, ma nonostante ció la sua sete di libertà è infinita come gli spazi dello sconfinato Alaska. 
Come nel film La Promessa, sempre diretto da Sean Penn, vediamo un personaggio in attesa di un cambiamento, ma l'attesa di Chris non è statica ma è una continua evoluzione: sente dentro di sé un movimento incessante di pensieri e nuovi stimoli che lo portano sempre più avanti nel proprio viaggio. 
Sean Penn ha voluto raccontarci in un documentario le gesta eroiche, per quanto anche pazze, di un ragazzo che, fuggendo dalle proprie sicurezze, ha sfidato la natura uscendone, purtroppo, sconfitto. 
La natura è crudele all'uomo che ha tentato di rinnegarla come madre, costruendosi le proprie leggi istabili per il raggiungimento della felicitá. 
Penn decide di raffigurare Chris nella scena finale del film con il sorriso mentre rivolge lo sguardo al cielo: nessuno è a conoscenza dei suoi ultimi pensieri, ma io credo che non portasse alcun rimpianto della sua incredibile avventura. 



martedì 12 agosto 2014

Orfani di un padre cinematografico.

Dopo una così lunga assenza mi dispiace tornare a scrivere oggi in occasione di un così grave lutto nel mondo del cinema.
Questa mattina appena sveglia, come di routine, ho aperto Facebook scoprendo, come al solito, prima sul web che alla televisione qualsiasi notizia: oggi sono rimasta sconvolta nel leggere che uno dei più grandi attori dei nostri tempi è stato trovato morto suicida nella sua casa in California.
Robin Williams, l'uomo sempre sorridente, l'attore dai mille volti che mi ha sempre fatto sorridere e sognare durante la mia infanzia è scomparso, lasciando tutti aggrappati con tristezza alle celebri citazioni dei suoi film.
Un premio Oscar, un attore che ha visto il suo esordio come l'alieno nel telefilm Mork e Mindy e che da quel momento si è sudato tutta la sua carriera e il suo successo: un attore di talento, poliedrico e che ha saputo trasmettere messaggi che hanno incantato non solo la mia generazione ma anche quella dei miei genitori e che sicuramente incanteranno la generazione dei miei figli con quei film che sono oramai passati alla storia.
Indimenticabile in "Carpe Diem- L'attimo fuggente", il professore perfetto che ogni studente sogna di incontrare nella propria carriera scolastica: è oramai proverbiale quel "Capitano o mio Capitano" dell'ultima scena, che non nego, mi ha sempre strappato qualche lacrima.
L'uomo dal cuore d'oro, tutti noi lo conoscevamo come l'eterno clown che aiuta i propri piccoli pazienti in ospedale: "Patch Adams" credo che sia uno dei film in cui il suo personaggio rispecchi a fondo anche la sua persona.
Conoscerlo nei panni di Mrs Doubtfire, o in quelli di un Peter Pan un po' troppo cresciuto o in quelli del pazzo inventore di Flubber me lo ha sempre fatto sentire come un padre adottivo, il compagno fedele delle mie serate in solitudine o in famiglia davanti alla televisione o al cinema.
Famoso per le sue abilità di improvvisazione ed impersonificazione, le sue performance sono sempre state caratterizzate da uno humour ingegnoso e veloce, un humour che nascondeva una grande sofferenza e debolezza e dietro il quale nessuno è mai stato capace di scorgere quel clown triste.
Oggi siamo rimasti tutti orfani di un padre cinematografico.





venerdì 23 maggio 2014

Questione di tempo

Al mondo esistono due categorie di persone: quelle che rincorrono il tempo e quelle che invece cercano tempo.
Anche se la differenza tra queste due tipologie di persone sembra minima, basta solo fermarsi a ragionare un po' sulla vita di ogni giorno: ad esempio, alcune persone entrano in un bar urlando al barista "un espresso!" e se ne corrono via con la camicia tutta macchiata dal caffè, che per la furia si sono versati addosso, c'è poi chi invece entra nel bar e chiede " un caffè macchiato in tazza grande, grazie" e già perde più tempo del primo solo a pronunciare l'intera frase.C'è chi il tempo lo rincorre e chi semplicemente lo cerca, poi c'è Tim che è in possesso di un potere unico.Tim all'età di ventuno anni scopre che i figli maschi della sua famiglia sono in possesso di un potere straordinario: a loro basta star da soli in un luogo piccolo e scuro, come un armadio, pensare ardentemente ad un particolare momento della loro vita ed ecco che tornano indietro nel tempo, a quel momento.Tim può modificare il suo passato e ritornare nel presente tutte le volte che vuole: decide di sfruttare questa incredibile capacità non per far soldi, né per aver successo ma per trovare l'amore. 
Tutto sembra filar liscio quando Tim una sera per caso incontra Mary, ma la loro storia d'amore sarà rimessa in discussione da un piccolo errore nel passaggio temporale.


Una commedia romantica, raffinata e dall'humor inglese: si vede bene che il marchio di fabbrica è dello sceneggiatore e regista Richard Curtis, autore delle più celebri commedie e storie d'amore britanniche: come non ricordarsi infatti Quattro matrimoni e un funerale, Notting Hill e Il diario di Bridget Jones?
Tuttavia l'impronta che ha questa commedia è totalmente diversa dalle precedenti: la componente fantasiosa, forse anche poco originale, del viaggio nel tempo ha reso rischiosa la riuscita di questa pellicola.
Nonostante tutto l'abbinamento vincente è stato quello della sorpresa narrativa che abbiamo all'inizio del film, pregna del classico humor inglese che ricorda quello di Mr. Bean o di Bridget Jones, con i luoghi convenzionali della classica romantic comedy.


 "e così mi ha svelato la sua ricetta segreta della felicità. La prima parte del programma era continuare a fare la mia solita vita, vivendo giorno per giorno, come fanno tutti... Ma poi c'è la seconda parte del programma di papà.
 Mi ha detto di vivere due volte lo stesso giorno senza cambiare quasi niente. La prima volta con tutte le tensioni e ansie che ci impediscono di vedere quanto sia bello il mondo e la seconda volta VEDENDOLO"

Un film che fa riflettere sulle piccole scelte di ogni giorno, che a volte si riveleranno essere fondamentali: una sorta di slining doors che la vita ci propone con semplici ed importanti decisioni che determineranno il nostro destino.
Sarebbe bello potersi chiudere dentro un armadio e a pugni stretti tornare a riscrivere una parte del nostro passato, ma anche Tim stesso alla fine del film rinuncerà a questo privilegio assaporando ogni istante come se fosse l'ultimo e vivendo la sua storia d'amore con Mary come se fosse eterna.
Il vero segreto della felicità è forse quello di vivere senza aspettative prendendo quello che la vita ci regala giorno per giorno: ed è così che un bacio prima di andar a lavoro, il sorriso di vostro figlio quando vi vede tornar a casa a fine giornata, la lettura di un buon libro prima di addormentarsi diventano piccoli momenti unici capaci di far dimenticare, anche se per poco, i problemi di ogni giorno, senza sentir il bisogno di riscrivere tutto da capo.



martedì 29 aprile 2014

Viviamo soli e moriamo soli con le scelte che abbiamo fatto. (Nikita)

La scelta paralizza l'uomo, secondo Kierkegaard l'uomo è paralizzato dal fatto di rendersi artefice del proprio destino, dell'addossarsi la responsabiltá delle proprie colpe come dei propri meriti.
All'uomo secondo Kierkegaard fa paura la responsabilità ed il potere, se pur parziale talvolta nella società, di prendere decisioni.
Un pensiero totalmente antitetico alla visione dell'homo faber fortunae suae di Appio Claudio Cieco e alla naturale propulsione all' esser gli unici artefici della propria vita e di non affidare nulla al caso o alla provvidenza.
La stessa religione ci dice che Dio ha dato all'uomo il libero arbitrio, la facoltà di conoscere dove è il bene e dove è il male di scegliere quale delle due strade percorrere; Dio ha dato all'uomo pure la facoltà di avere ripensamenti e di tornare indietro sui propri passi per intraprendere un'altra strada.

Perché la filosofia di Kierkegaard, a mia opinione, è così vicina alla realtà? Perché vedo più utopistica la ragione per cui l'uomo sia davvero artefice del proprio destino?
Credo che le scelte siano condizionate da qualcosa che non sempre dipende da noi, credo che le scelte a volte siano costrette a volte indispensabili e non parlo del saper scegliere cosa è meglio tra un gelato alla crema o una granita in un afoso pomeriggio d'agosto.
L'uomo non è tanto paralizzato dall'indecisione ma tanto più dalla paura di sbagliare così che la stessa libertà di scelta diventa una sorta di croce e di condanna e fonte di insicurezza: scegliere e poi avere rimorsi? scegliere e poi avere rimpianti? scegliere di essere felici è la decisione più importante che ognuno di noi si pone ogni santo giorno appena sveglio.

Vi chiederete cosa c'entra tutta questa parabola filosofica in un blog che essenzialmente tratta di cinema: ho sempre visto il cinema come una diversa lente con la quale l'uomo riesce a leggere la propria vita.
Penso che il cinema rappresenti la seconda scelta, quella che l'uomo nella sua vita non è mai riuscito a prendere per paura di sbagliare o semplicemente per insicurezza, se può sembrar folle, anche per paura di esse troppo felice.
Il cinema rappresenta la vita che avremmo sempre voluto, la storia d'amore che abbiamo sempre desiderato, il lavoro che non abbiamo scelto di fare, come pure la famiglia che non siamo riusciti a costruire.
I film sono lo specchio delle paure e delle gioie, sono una realtà traslata, fittizia forse utopica ed irreale: i film ci danno l'opportunità di vivere la scelta che non abbiamo fatto e anche di costruire un sogno sulle scelte che vorremmo fare.
Il cinema da sempre é frutta della nostra esperienza di vita ma anche la più bella macchina fautrice di chimere e di illusioni.


domenica 27 aprile 2014

The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca

Nel 1952 mai nessuno avrebbe immaginato che un giorno  sarebbe stato eletto un presidente degli Stati Uniti un uomo di colore; Cecil Ganes, da semplice “nero di casa”, proprio in quell’anno iniziava il suo lungo servizio da maggiordomo alla Casa Bianca.
Per otre 34 anni Cecil ha servito fedelmente bel sette presidenti diversi, assistendo silenziosamente e passivamente alle decisioni più importanti della storia americana.
La pellicola diretta da Lee Daniels trae ispirazione da un articolo pubblicato sul “Washington Post” rappresentando così la storia vera di Eugene Allen, maggiordomo di colore che servì la casa bianca per oltre tre decenni.


Lee Daniels ha deciso di rappresentare il film alternando fatti di vita di privata del protagonista ad eventi storici importantissimi nella storia americana: così mentre Cecil serviva, come se fosse invisibile, il tè nella sala ovale ascoltando le conversazioni tra personaggi politici più importanti, che decidevano le sorti d’America, fuori i due figli di Cecil lottavano per i propri diritti.
In quegli anni anche la visione politica e sociale dei cittadini di colore non era univoca: c’era chi come Cecil aspettava un cambiamento “dall’alto” e nel frattempo decideva di non agire sottomettendosi passivamente alla società dei bianchi, come era stato abituato a fare fin dalla nascita; ed infine c’era chi invece iniziava a coltivare una visione rivoluzionaria come quella dei figli di Cecil, i quali in prima persona si attivano affinché qualcosa cambi.
Le visioni opposte creano incomprensioni non solo nella società ma anche nella vita privata di Cecil con i suoi figli: si creano incomprensioni che mettono in risalto una crisi dei valori, ma anche una rivoluzione della stessa visione della vita con un graduale passaggio dalla generazione di Cecil alla nuova generazione.
La figura possente ma umile del protagonista, interpretato da Forest Whitake, è stata un mezzo efficace per trasmettere un messaggio pedagogico che non fosse troppo pedante ed indocile come quello invece che aveva invece ricostruito Tarantino con Django: chi meglio di un regista afroamericano avrebbe potuto dirigere una pellicola che vuol trattare il punto di vista dei cittadini di colore, escludendo del tutto il punto di vista dei bianchi?
The Butler è un film che va a completare il variopinto puzzle di film che raccontano la graduale conquista dei diritti civili nella storia degli Afroamericani, approdando in sala dopo Django Unchained di Tarantino , Lincoln di Spielberg e prima di 12 anni schiavo di Steve McQueen.
The Butler si posiziona tra tutte queste opere che sembrano richiamarsi vicendevolmente, proseguendo l'una i discorsi dell'altra e componendo il colossale affresco di una nazione perennemente indecisa fra scelte morali e violenza, tra parole e pistole, in particolare dall’elezione di Barack Obama a presidente degli Stati Uniti.
Lee Daniels approfitta di questa pellicola per proseguire il suo percorso di rilettura critica della storia americana inserendo la questione razziale, che aveva già iniziato con il film “Precious”.
Nell’arco temporale del servizio di Cecil alla casa bianca possiamo notare un America molto forte economicamente dopo la Seconda Guerra mondiale, ma purtroppo ancora molto arretrata socialmente.

"Gli americani chiudono sempre un occhio su quello che hanno fatto al loro popolo. Guardiamo il resto del mondo e giudichiamo. Sentiamo parlare dei campi di concentramento ma quei campi ci sono stati per ben 200 anni anche qui, in America." afferma Cecil in una delle scene finali del film guardando in parallelo il proprio presente, con Barack Obama candidato alla presidenza, ed il proprio passato rappresentato dalle piantagioni di cotone dove aveva trascorso la sua intera infanzia.
Oltre al cast stellare che compone questo film, che va da Oprah Winfey e Mariah Carrey  a Robin Williams e Lenny Kravitz, The Butler è sicuramente un’ opera eccezionale che ha saputo raccontare per immagini la storia di un paese che ha molto da dire circa il suo passato: un’ impresa sicuramente non semplice rappresentare in una sola pellicola un arco temporale così pregno di storia.
In una manciata di minuti vediamo l’evolversi di una società e della storia: da Martin Luther King alle Black Panters, dall’omicidio di Kennedy allo scandalo Watergate fino ad arrivare alla figura possente di Cecil Ganes, ormai anziano, che attende di incontrare Barack Obama, il suo sogno divenuto finalmente realtà.
Cecil nell’ultima scena del film si appresta ad incontrare il suo “ultimo presidente”, quello in cui ha racchiuso tutte le sue speranze e che avrebbe voluto servire tempo prima: zoppicando si incammina per l’ultima volta tra i corridoi della Casa Bianca nei quali ha servito a lungo non solo sette presidenti, ma gli Stati Uniti d’America stessi.


Lee Daniels è riuscito a renderci complici e partecipi di una svolta storica e del netto passaggio verso l’era moderna con un film che denuncia la discriminazione razziale, rivendicando una competenza antropologica e culturale che suona come una dichiarazione di apartheid. 

domenica 6 aprile 2014

La migliore offerta.


" In ogni falso si nasconde sempre qualcosa di autentico" questa è la frase su cui l'intero film, scritto e diretto da Giuseppe Tornatore, si basa: svelarvi tuttavia la trama avvincente ed intrigante sarebbe un po' come consigliarvi di leggere un romanzo di Arthur Conan Doyle, raccontandovi subito chi è l'assassino.
La migliore offerta è un film che va assaporato in ogni istante, in ogni scena fin nel più piccolo particolare: non può non rapire l'attenzione dello spettatore. 

Virgil Oldman, interpretato da un bravissimo Goeffrey Rush, è un richiesto battitore d'aste che, con un po' di astuzia e con l'aiuto dell'amico Billy, è riuscito ad accumulare negli anni una collezione di ritratti femminili dall'inestimabile valore.
Virgil nutre il solo amore  per le opere d'arte ed il restauro: le uniche figure femminili che ha amato sono stati i ritratti di donna che ha collezionato segretamente in casa. 
La sua vita prenderà un'inaspettata svolta dopo la telefonata di Claire, una giovane ereditiera in possesso di un'immensa proprietà, ormai diventata troppo grande per lei: questa chiede appunto a Virgil di fare un catalogo per mettere all'asta tutto il suo patrimonio.
Claire è affetta da agorafobia e non è mai uscita dal suo appartamento e non si è mai fatta vedere da nessuno: riesce a relazionarsi con Virgil solo al telefono o parlando con lui da dietro le pareti della sua camera, senza mai mostrarsi.
Virgil è affascinato dal mistero della vita assurda di una così delicata e giovane donna, così affascinato che non si accontenta di sentirne solo la voce: freme dal desiderio di vederla. 

Giuseppe Tornatore è riuscito a riprodurre questa intrigata sceneggiatura con estrema delicatezza, come se avesse tra le mani un antico e fragile pezzo d’antiquariato: i pochi personaggi  che appaiono durante tutta la pellicola sono ben inquadrati, hanno forti personalità e si muovono entro spazi circoscritti.
La scenografia non è molto varia e la maggior parte della storia si svolge in una sola stanza, all’interno dell’immenso palazzo decadente di proprietà di Claire.
La villa dal fascino decadente, arroccata e dalle pareti sbiadite è simbolo anche di due personaggi di una bellezza ed un’identità nascosta, che hanno entrambi bisogno di esser “rivalutati” e “restaurati” .
La colonna sonora composta da Ennio Morricone, che da sempre ha collaborato alla produzione dei film di Tornatore, accompagna ogni scena del film: le eleganti composizioni di Morricone sono affiancate alle lunghe inquadrature, dalla scenografia quasi sempre illuminata come se fosse rappresentata tra le mura di un museo.
 
Anche se non riusciamo subito a vedere il personaggio di Claire, già dal tono della sua voce e dal suo modo di fare, a volte schivo, riusciamo a disegnare nelle nostre menti una donna dall’aspetto esile ma dal forte carattere.
La problematica Claire è messa in parallelo con un altrettanto problematico Virgil: uomo solo ed affetto da un disturbo ossessivo compulsivo della personalità, che lo porta spesso ad aver difficoltà a relazionarsi con il mondo senza indossare i suoi preziosi guanti, che lo proteggono da un qualsiasi contatto diretto con l’esterno.
Due caratteri così simili e difficili si scontreranno fino a rompere quella parete, sia fisica che morale, che separa l’uno dall’altra.

La miglior offerta è un film che descrive la stessa vita come un’ autentica opera d'arte, o come un falso, talvolta costruito su rapporti che non sono sinceri: fa riflettere su quanto di quello che simuliamo nella nostra quotidianità sia vero.
Secondo Virgil ogni falsario mette qualcosa di proprio nella copia dell'autentico: noi quanto di nostro mettiamo nel costruire rapporti superficiali, falsi, di convenienza? Quanto ci lasciamo coinvolgere alla fine? Questi sono tutti interrogativi che il film stimola nello spettatore.

La raffinatezza del film di Giuseppe Tornatore sta proprio dietro questo parallelo: immaginate di poter mettere ad un' asta le vite, gli amori, le passioni delle persone e da bravi antiquari, scegliere quelle autentiche e di inestimabile valore. Immaginate di poter comprare ad un asta la più bella storia d'amore, quale sarebbe in questo caso la vostra miglior offerta ? 



domenica 2 marzo 2014

" and the oscar goes to..."

" and the oscar goes to..."
Ecco i brividi scorrere dietro la schiena e il battito cardiaco arrivare alle stelle: quei secondi sembrano durare un eternità e a pugni stretti speri di sentire quel nome, quel film, quel regista. 
È tutto un immenso e profondo tuffo nel vuoto, è la stessa senzazione che si prova lanciandosi da un grattacielo, che sia quello che ci aspettavamo o meno. 

Io vivo gli Oscar così, li vivo sognando ad occhi aperti di esser lì a Los Angeles a stringere i pugni per un film a cui tengo, di esser lí a sperare che un semplice film riesca a trasmettere a molti quello che ha trasmesso a me.

Non nascondo la mia immensa passione per il cinema e per i buoni film approcciandomi ad essi proprio come se fossero delle vere e proprie opere d'arte esposte in un museo: il cinema è l'arte del vivere, del guardare come in un caleidoscopio le diverse sfaccettature ed immagini che può mostrarci cambiando semplicemente di poco l'inclinazione.
Una pellicola può suscitare forti emozioni, può amplificare al massimo i sentimenti e riaccendere ricordi e passioni. 

Questi Oscar hanno regalato un nuovo orgoglio all'Italia: la grande bellezza ha vinto l'Oscar come miglior film straniero dopo 16 anni dall'ultimo Oscar per "La vita è bella " di Roberto Benigni. 
Voglio ricordare che l'Italia nella storia degli Oscar ha portato a casa ben 11 statuette ed è stato il paese straniero più premiato:ogni tanto è giusto ricordare i pregi del nostro paese e i meriti per i quali ci siamo distinti nel mondo, non solo i numerosi difetti.


L'Oscar per miglior film è andato a "12 anni schiavo" : un vero e proprio capolavoro secondo la critica.
Mentre Matthew McConaughey protagonista del film Dallas-Buyer’s Club ha rubato anche quest'anno la fatidica statuetta a Leonardo DiCaprio, Gravity  invece ha ricevuto i premi tecnici grazie a degli effetti speciali ed immagini mozzafiato. 
Jarred Leto invece commuove tutta la sala con il suo discorso alla consegna per l'Oscar come miglior attore non protagonista in  Dallas - Buyer’s Club, e Frozen si aggiudica l'Oscar come miglior film d'animazione.
Aspetto gli Oscar del prossimo anno con la speranza di veder premiato il povero Leonardo DiCaprio anche se lui stesso ha affermato che non fa questo lavoro per vincere premi ma perchè lo ama.

venerdì 28 febbraio 2014

SHINING

Mi cimento nella difficile impresa di recensire un film nato dalla mente geniale di Stanley Kubrick e che è rimasto nella storia del cinema grazie alle sue immagini ed aneddoti divenuti con il tempo un luogo comune: The Shining va ben oltre la classica definizione di film horror, The Shining è l'horror per eccellenza.
Questo capolavoro ha un po' cambiato il topos del film horror: non vediamo né zombie, né fantasmi, né case indemoniate ma abbiamo come sfondo un albergo abbandonato nel nulla, isolato dal mondo ed una normale famiglia che sarà vittima dell'aura diabolica che aleggia sull'Overlook Hotel.
La sceneggiatura non originale ha preso spunto dall'omonimo romanzo di King: tuttavia film e romanzo non sono assolutamente comparabili perché Kubrick traslando la storia in termini cinematografici ha aggiunto metafore ed immagini e significati contorti che hanno fatto il successo del film.

Jack Torrance, scrittore fallito, è assunto per fare da custode invernale all'Overlook Hotel, nelle cui camere sono avvenuti, nel corso della sua storia, svariati delitti. Parte con la  moglie Wendy e figlio Danny, il quale ha il dono della "luccicanza", ovvero la facoltà di "vedere" tracce indelebili di fatti accaduti nel passato in un particolare luogo. Le forze maligne presenti nell'albergo sembrano contagiare lo stesso Torrance portandolo a compiere gli stessi abominevoli atti che hanno contraddistinto un precedente custode dell'hotel che sterminò la sua famiglia a colpi di accetta.

Il film può esser suddiviso per temi: il primo tema molto caro a Kubrick è il predominio della visione sulla scrittura e il predominio della vista sulla parola.
 Torrance è uno scrittore in crisi che viene sconvolto dalle numerose visioni durante la sua permanenza nell'albergo, ed anche lo stesso figlio Danny è vittima di numerose visoni che lo paralizzano e gli tolgono pure la capacità di esprimersi con la parola.
Il film è incentrato sulla visione e le battute tra gli attori sono molto poche, nonostante questo Kubrick riesce a mostrarci le numerose metafore in particolare quella che rappresenta il secondo tema centrale: il labirinto.

Il labirinto nel giardino dell'albergo è un invenzione del regista visto che nel romanzo di King non viene citato alcun labirinto.
 Il tema del labirinto rievoca i miti dell'antichità tra i quali Teseo ed Arianna ma anche il tema della pazzia: 
Jack Torrance si perde prima di tutto nel labirinto della sua mente e non riesce più a trovare il filo della ragione, come invece Teseo era riuscito a trovare il filo di Arianna per uscire salvo dalla sua spedizione.
Il viaggio di Jack non ha un lieto fine perché non riuscirà a trovare una via d'uscita al labirinto della sua mente fino a perdersi fisicamente nel labirinto fuori dall'albergo mentre suo figlio Danny riuscirà a salvarsi non solo dal labirinto fisico ma anche dalle varie visioni di cui è vittima.

Lo stesso Overlook Hotel è un vero e proprio labirinto: il caos che deriva dalla disposizione spazio-temporale è un altro tema centrale nei film di Kubrick.
Già con "Arancia Meccanica" e "2001: Odissea nello spazio" Stanley Kubrick ha cercato di distruggere e di ricostruire gli stereotipi legati al cinema mettendo in luce i limiti stessi di una pellicola cinematografica.
Il film è suddiviso in capitoli che vanno da suddivisioni per avvenimenti, per mesi, per giorni e per ore  ma nonostante questa scansione del tempo la storia risulta senza collocazione temporale ed è sospesa nel nulla come d'altra parte la stessa ambientazione dell'albergo del quale non riusciamo a fare una mappa mentale.
Il film riesce a superare i limiti del cinema trasformandoli in un vero e proprio punto di forza: il film ha una ripresa molto fluida grazie all'uso della steadycam e la colonna sonora fornisce quella suspense che il film non avrebbe senza.
La scelta della colonna sonora in un film fa percepire allo spettatore il vero incombere del pericolo o di un lieto avvenimento: in The Shining la colonna sonora non è abbinata ad immagini particolari ma ha la capacità di far stare lo spettatore in allerta per tutto il film; si può affermare appunto che la carica horror del film sta dietro la scelta della colonna sonora e non tanto dietro le immagini proposte.

The Shining è stato il film meglio recitato da Jack Nicholson: questo grande attore è riuscito a dare il marchio di fabbrica al capolavoro di Kubrick grazie alla sua espressione da pazzo mentre a colpi d'accetta sfonda la porta del bagno in cui è nascosta la moglie, interpretata da una strepitosa Shelley Duvall, urlando "Sono il lupo cattivo!", in lingua originale "Heeere's Johnny!".

mercoledì 19 febbraio 2014

La leggenda del pianista sull'oceano

Siamo i compositori delle note su cui la nostra vita prende corpo, suoniamo gli infiniti tasti del pianoforte che abbiamo sotto gli occhi e condiamo ogni giorno con note diverse, che sia gioioso o triste.
Novecento no, non ha mai voluto suonare le infinite note che il mondo gli offriva: Novecento ha sempre suonato gli 88 tasti del pianoforte della piano bar della sua nave.

Danny Boodman T.D. Lemon Novecento era stato trovato per caso sul Transatlantico Virginian dal macchinista Danny Boodman: nessuno sapeva da dove provenisse quel bambino ma Danny sapeva che quel TD inciso sulla scatola in cui era posto quel neonato significasse "Thanks Danny" per questo lo adottó e lo tenne con sé fino al giorno in cui un tragico incidente  gli tolse la vita. 
Novecento sparì sulla nave  dopo quella tragica morte, così sfuggendo agli occhi della polizia che lo voleva portare in orfanotrofio. 
Il bambino fu ritrovato un giorno al piano bar della prima classe mentre suonava con incredibile bravura il pianoforte: nessuno seppe mai dove avesse imparato a suonarlo in modo così divino non essendo mai stato con nessuno al di là dei macchinisti. 
Fu così che Danny Boodman TD Lemon Novecento divenne la prima attrazione del transatlantico Virginian, e chiunque salisse su quella nave con gli occhi e i cuori pieni di speranza per una vita nuova in America abbandonava ogni timore grazie all'ipnotica magia delle melodie suonate da Novecento. 
Max suonó la tromba per un periodo su quella nave ed ebbe l'onore di conoscere il leggendario pianista sull'oceano: ad anni di distanza da quelle memorabili serate sul transatlantico Max ricorda con nostalgia la sua amicizia con Novecento, convinto che sia rimasto sul transatlantico dal quale non era mai sceso in vita sua una volta che fu demolito, morendo anche lui con questo. 

La leggenda del pianista sull'oceano è uno dei rari esempi di colosso intimista basato sul monologo teatrale scritto da Alessandro Baricco. 
Un film prodotto da Giuseppe Tornatore che ha trovato come collante in ogni scena nella incredibile musica di Ennio Morricone, donando ad ogni immagine una connotazione ed un emozione diversa. 
Una storia piena di significati, metafore ed interpretazioni che non può avere una sola critica o descrizione: dipende dal gusto personale ma anche da come ci approcciamo ad un film tratto da un libro non affatto facile da rappresentare in termini cinematografici. 
Ricordo con piacere il monologo del quadro che sia nel libro che nel film mi ha stregata e posta davanti ad un' eterno quesito: perché cadono i quadri? 
Perché le cose nella vita cambiano così repentinamente? Perché ci poniamo così tanti "perché"? Secondo Novento è un vizio di chi vive sulla terra e non trascorre la sua esistenza a lasciarsi dondolare dalle onde del mare e dalla melodia di un pianoforte. 

venerdì 14 febbraio 2014

Love Today

Chi di noi non si è mai sentita un po' come Bridget Jones il giorno di San Valentino: sfigata, imbranata e single alla ricerca dell'amore tra un pasticcio e una delusione. 
C'è chi si sente a San Valentino un po' come Julia Roberts nel film " Il matrimonio del mio migliore amico" condannata a non avere il proprio amore corrisposto.
C'é pure chi si sente un po' Anne Hathaway in One Day, a rincorrere il tempo e un amore che vuole ma non riesce a lasciarsi alle spalle. 

San Valentino è una festa commerciale, stupida, inutile e superficiale ma è così sciocca da piombare sempre nel pensiero di tutti noi ogni anno, che si abbia o meno una persona speciale con cui condivederla. 
San Valentino è la festa degli innamorati, e chi di noi non è innamorato di qualcosa?  Di un sogno, di una persona o di un momento? 
È una festa un pó per tutti se lo vogliamo: ci ricorda di dedicare più tempo a ciò che amiamo, ci ricorda di essere prima di tutto innamorati della vita.

Spesso sogniamo un uomo come Mr Darcy di Orgoglio e Pregiudizio e vorremmo anche noi esser contese tra un Hugh Grant è un Colin Firth, come vorremo dare un romantico bacio sotto la pioggia magari con sottofondo le note di una celebre canzone d'amore. 
Tutte noi vorremmo una storia d'amore come quella in Pretty Woman, o Notthing Hill o in Colazione da Tiffany o in Love Story ma la vita ci regala a volte prospettive migliori di quelle che si riescono solo a vedere in un film, basta aspettare, nel frattempo oggi dedichiamoci a ciò che per ora amiamo. 
Love Today . 


domenica 9 febbraio 2014

Arancia Meccanica



Strano come un arancia ad orologeria, in apparenza un frutto amabile dal succo dolce ma che dal nulla potrebbe far scattare una molla per far saltare tutto: non si tratta di una stranezza evidente, la stranezza è accuratamente nascosta da un oggetto comune.
La bomba ad orologeria messa a puntino dallo stato, da Dio o dal caso che improvvisamente potrebbe far saltare tutto, smentire tutto quello in cui credevamo, capovolgere la realtà.
Il film di Kubrick é strano come un arancia ad orologeria, strano quanto il romanzo di Burgess da cui è tratto.
Arancia Meccanica è stato uno dei capolavori del grande regista Stanley Kubrick, un film che vuole condannare la violenza ma fa anche una critica alla politica e società ambientando la storia in una visionaria Gran Bretagna del futuro.

Alex DeLarge è il protagonista della storia che narra " le avventure di un giovane i cui principali interessi sono lo stupro, l'ultra-violenza, e Beetoven".
Il film si può suddividere in tre parti: la prima tratta la vita da Drugo che vede Alex come l'eccentrico e antisociale capo di una banda di criminali dei drughi che trascorrono il loro tempo tra stupri e violenze a vittime ignare.
Tutto cambierà quando facendo una delle tante "visite a sorpresa" in una cura dimagrante Alex viene tradito dai suoi compagni è lasciato in balia della polizia.
Alex viene quindi messo in carcere e qua parte la seconda parte della storia: la cura Lodovico.
Alex dal carcere viene preso per sperimentare la cura Lodovico, una cura che gli impedirà di esser violento: infatti alla fine della cura Alex proverà nausea ogni volta che vedrà o sentirà il bisogno di usare violenza. 
Una volta dimesso dalla clinica Alex sarà vittima delle proprie vecchie vittime non potendo opporsi con violenza anche solo per difendersi: inizia la terza parte del film che vede il rientro in società di Alex.
Alex è vittima della società e dello stato visto le la cura Lodovico si tratta di uno dei punti di forza della propaganda politica.
Alex tenta il suicidio e si risveglia in una clinica di ospedale dove sarà visitato dal primo ministro che preoccupato per lo scandalo scaturito dalle vicende di Alex come vittima della cura Lodovico propone una collaborazione a quest'ultimo; Alex accetta, assicurandosi prima che la sua vita potrà proseguire con un buon lavoro, una buona posizione e una retribuzione adeguata.
La macchina della propaganda così si mette immediatamente in moto e un gran numero di giornalisti e di fotografi entra nella stanza dove i due, stringendosi la mano, rassicurano l'opinione pubblica in merito alla loro nuova collaborazione e amicizia, dando inizio alla nuova vita di Alex, il quale, in un attimo, la immagina fatta di sesso, musica e libera dalle angosce dovute alla legge, poiché egli ora lavora per essa.

La scenografia è ispirata agli anni sessanta: possiamo riconoscere nell'arredamento delle case rimandi alla pop art in particolare alla optical art di Mondrian.
L'estetica del film presenta chiari riferimenti sessuali, che vanno dalla scultura di ceramica in casa della donna della clinica dimagrante ai ghiaccioli che le due ragazze al bancone del negozio di musica stanno leccando: secondo Kubrick, niente riesce a risvegliare lo spettatore dal torpore meglio del sesso.
Nel film la donna spesso è ridotta a oggetto allo scopo di voler criticare la tendenza che la pubblicità stava assumendo per quanto riguarda l'uso dell'immagine del corpo femminile.

Il gioco dei contrari tipico dei film di Kubrick si innesta particolarmente sull'interesse di Alex per la musica classica: le note beethoveniane sono il palinsesto principale su cui il regista plasma le immagini e gli stacchi di montaggio.
 Il significato di gioia, amore e amicizia generalmente connesso alla Nona Sinfonia viene ribaltato e il brano finisce per fare da sfondo e da stimolo alle scene di violenza più bestiali. 
Lo stesso brano "Singing in the Rain" è reso oltraggioso con la combinazione dell'orripilante scena dell'abuso sessuale di una donna indifesa in casa propria: l'euforia con cui Alex interpreta il brano mentre il ritmo è cadenzato dalle violente percosse che da con il bastone prima allo scrittore e poi a sua moglie rende la scena ancora più drammatica.
Arancia Meccanica vanta ben quattro nomination agli oscar del 1972 e lo stesso anno fu presentato alla Mostra di Venezia: nonostante le numerose critiche che ha suscitato per la crudezza delle scene questo film è entrato nella storia del cinema grazie alla straordinaria rappresentazione visionaria ed originale di Kubrick.




lunedì 3 febbraio 2014

La Dolce Vita.



Se non ci approcciamo ad un film come ci si approccia ad un Monet, che senso ha andare al cinema?
Il cinema è un arte a tutti gli effetti, è l'arte che ha superato non solo pittura e scultura ma ha perfezionato la fotografia fornendo l'unica caratteristica che a questa mancava: il movimento.
Non parlo dei film più semplici nati per riposare la mente, parlo dei veri capolavori che invece non sono nati per rilassare ma per far riflettere e per proiettare su ognuno di noi una luce diversa a seconda delle nostre esperienze.
Oggi pomeriggio finalmente ho visto "La Dolce Vita" di Federico Fellini senza alcuna interruzione: tre ore di puro incanto ed arte.
La dolce Vita di Fellini è il capolavoro del neorealismo: priva di trama e colma di significati ci trasporta in viaggio nella magia della vita con una visione rocambolesca e surrealista.
Questa grigia domenica il mio salotto si è trasformato nel luogo di una vera e propria mostra d'arte e la mia televisione in una finestra sulla vita.

Il film è ambientato a cavallo tra gli anni '50 e gli anni '60 e come protagonista ha Marcello, interpretato da un affascinate e bravissimo Mastroianni.
Marcello è un giornalista romano che si occupa di servizi scandalistici e che aspira a diventare uno scrittore: è il protagonista dei sette episodi che compongono il film, episodi slegati l'uno dall'altro.
La  vita di Marcello si muove tra feste popolate da celebrità e nobili e tra salotti borghesi in cui la vita di personaggi annoiati scorre inesorabile nascosta dietro le mura di una bellissima Roma tra i flash dei fotografi che sono una presenza costante in ogni singola scena del film.
Il film è pieno di simboli e riferimenti politico-religiosi e la critica ha affidato svariati spunti di interpretazione di ogni singola scena dove possiamo apprezzare il talento e la stranezza di Fellini nel approcciarsi lui stesso ai vari significati della vita, enigmatica anche per noi nella semplicità di tutti i giorni.
Scena più celebre è quella che vede Anita Ekberg, nel film la famosa attrice Sylvia, fare il bagno di notte nella fontana di Trevi:  ma è solo una delle bellissime immagini che Fellini ci propone.
La mia scena preferita è quella in cui Marcello si reca ad una festa di una nobile e stramba famiglia che decide di avventurarsi tra le mura di una villa vicina abbandonata: lo squallore della casa va letto come lo squallore che regna dei cuori di questi personaggi annoiati da una vita superficiale e priva di scopi basata su futili divertimenti.
Personaggi infelici come Maddalena, annoiata dalla vita e dall'avere tutto dalla vita, amica ed amante di Marcello.
Marcello in questo film incarna il Don Giovanni amante di molte donne, ma anche colui che non sa cosa vuol veramente dire amare e volando da una donna all'altra è noncurante della fidanzata Emma che rischia di suicidarsi per le proprie pene di amore.
Lo squallore regna nella vita di ogni personaggio e ci dimostra come sia ognuno di essi aggrappato ad una semplice credenza e speranza e così come nella scena dell'apparizione della vergine si accalca e si confonde nella folla in cerca di quella cosa che potrebbe salvare la propria vita dalla noia esistenziale.
La nostra vita è un continuo correre sotto la pioggia dietro qualcosa che nemmeno noi sappiamo cosa è, senza un perché dedichiamo la vita alle inutilità reputandole indispensabili.
Corriamo senza vedere che la vita ci corre avanti e che oramai siamo già vecchi: Marcello non riconoscerà infatti la sua giovinezza nella scena finale del film e saluterà quella ragazza dall'altra parte della spiaggia che aveva incontrato per caso in una delle scene del film, la saluterà senza aver capito quello che essa aveva da dirgli e così senza capire un passato che non gli appartiene più.

Sorrentino con La Grande Bellezza ha ambientato La Dolce Vita ai giorni nostri, proponendo la stessa stranezza e caos tipici dei film di Fellini.
La Dolce Vita è un' affresco di vita da ammirare tra le pareti di casa nostra, non dobbiamo pretender di capir la storia perché sarebbe come preteder di capire la vita.



martedì 28 gennaio 2014

Il Grande Gatsby

Ci siamo un po' tutti recati al cinema con la sensazione di partecipare pure noi ad una delle scintillanti feste che Gatsby dava nella sua immensa villa, feste alle quali nessuno poteva mancare.
Baz Luhrmann ci propone un film dalla scenografia coinvolgente ed esagerata a tal modo da storpiare il classico di Fitzgerald da cui la storia è tratta: il film è stato descritto come un frastuono sensoriale che ci distoglie dal coinvolgimento emotivo.

Il pubblico si trova avvolto da una colonna sonora anacronistica tra cui troviamo brani di Jay-Z e Lana Del Rey: scelta azzardata e che molti hanno considerato inappropriata.
L'accostamento delle canzoni moderne alle atmosfere degli anni venti ha voluto riproporre la stessa sensazione inebriante che in quegli anni dava il Jazz, inebriando anche il pubblico con uno shock audiovisivo che dura per l'intero film.
Io ho reputato la scelta della colonna sonora consona con le immagini che il regista ha proposto: immagini di una società che si riversava come un fiume nello stile di vita più eccessivo portando emozioni e sentimenti allo stremo.
Forti solo le immagini che talvolta, soprattutto nella rappresentazione delle feste, prendono una cornice disneyana come se gli stessi personaggi del film si trovassero per una notte catapultati in un modo parallelo dove nulla può loro capitare di male.

L'intera vicenda inizia nella primavera del 1922  quando il giovane Nick Carray, interpretato da Toby Maguire, si trasferisce a Long Island in un cottage confinante la casa di un misterioso miliardario, appunto Gatsby interpretato da Leonardo DiCaprio.
La cugina di Nick abita dall'altra parte del lago: la bellissima Dasy, interpretata da Carey Mulligan, sposata con un ex giocatore di polo, il ricchissimo e fedifrago  Tom Buchanan, interpretato da Joel Edgerton.
Grazie alla parentela che lega Nick e Dasy, Gatsby cercherà subito di entrare in contatto con Nick per arrivare a lei: Gatsby e Dasy hanno avuto infatti in passato una romantica storia d'amore, storia che ora Gatsby vuole riprendere da dove si era interrotta.

Il film non ha nulla a che vedere con l'impronta emotiva che ha il romanzo di Fitzgerald, un classico intramontabile, e nemmeno se la batte tanto bene con il film del 1974 che vedeva l'affascinante Redford nei panni di Gatsby.
Al film di Luhrmann manca la spinta sentimentale dell'incredibile amore di Gatsby per Dasy: uomo che ha fatto ogni suo progetto avendo sempre al centro dei suoi piani un unica donna.

"Tu eri sempre presente. In ogni idea. In ogni decisione. E se qualcosa non è di tuo gusto, io la cambierò."



lunedì 27 gennaio 2014

Per non dimenticare.

Occhi scavati e sguardi che sembran aver perso la speranza: questi sono i volti e le immagini che il cinema ci ha sempre proposto per non dimenticare.
Noi siamo qua per non dimenticare, per far sì che la memoria di queste vittime non voli via con il fumo delle ciminiere. 
Mille volti, mille sguardi, mille sogni strappati via e per questo ci domandiamo se questo è un uomo? Un uomo a cui vien strappata la dignità ed un diritto così importante come la vita.
Colore che domina nella maggior parte dei film è il grigio: grigio come l'umanità in quegli anni, grigio come il cielo dei lager, grigio come la prospettiva di vita, grigio come la cenere. 
Ma dal quel grigiore vediamo spuntare a volte il cappotto rosso di una bambina: la bambina con il cappotto rosso è sinonimo di vita, è il colore del sangue che scorre nelle vene di tutti e non conosce religione o razza, rosso come l'amore che in qualcuno nonostante tutto era rimasto.
Non dimentichiamo e nemmeno ricordiamo solo un giorno all'anno quello che l'uomo è stato capace di fare. 
Non dimentichiamo per far sì che non accada più. 

venerdì 24 gennaio 2014

Leonardo DiCaprio da Oscar (?)

Non sono ancora andata a vedere l'ultimo film di Leonardo DiCaprio appena uscito nelle sale: The Wolf of Wall Street sembra aver acceso gli animi dei fan dell' affascinate attore  che fece sognare migliaia di ragazzine recitando la parte di Jack nel film "Titanic", ma quest'anno riuscirà finalmente a portare a casa la tanto agognata statuetta?
Non si può certo negare che Leo sia un attore di talento e che i propri film abbiano sempre riscosso un ottimo successo, ma dopo 4 nomination all'Oscar (quest'ultima appunto è la quinta) non è mai riuscito a portar a casa il premio.
DiCaprio ha  preparato la strada all'Oscar di quest'anno portando a termine un percorso che ha intrapreso negli ultimi due anni: lo abbiamo visto nei panni del grande Gatsby recitare il ruolo del giovane che si è fatto da solo, e nel ruolo del ricchissimo e cinico latifondista del Mississippi Calvin J. Candle in Django Unchained .
I panni di Jay Gatsby erano già stati vestiti da un'affascinate Robert Redford nel 1974: DiCaprio si è trovato a competere con una figura che oramai era stata riconosciuta  fino ad ora solo a Redford e non tutti hanno rivisto questa oramai storica assegnazione e per molti Gatsby rimane quello interpretato nel 1974.
In Django abbiamo visto un DiCaprio nei panni del cattivo, ruolo che non gli viene spesso assegnato e per questo è risultato anche di secondo ordine rispetto all'eroico Django interpretato da Jamie Foxx.
In The Wolf of Wall Street recita nuovamente i panni del giovane di successo, in questo caso nei panni di Jordan Belfort, uno dei broker di maggior successo nella storia di Wall Street.
Anche per quanto riguarda quest'ultimo film DiCaprio si troverà a competere con un altro "lupo di Wall Street", Gordon Gekko interpretato da Michael Douglas nel film "Wall Street" del 1987.
Michael Douglas fu vincitore di un premio Oscar per il suo ruolo nel film "Wall Street", così sarà anche per un Leonardo di Caprio nei panni di un altro yuppies ?
Per DiCaprio è la quinta collaborazione con Martin Scorsese: sodalizio che va avanti dal loro primo film insieme "Gangs of New York" che fece andar di fuori il botteghino con un incasso superiore ai 70 000 000 ma ebbe anche 10 nomination agli Oscar senza vincerne nemmeno una.
Anche quest'anno il sodalizio tra Martin Scorsese e Leo DiCaprio porterà al medesimo risultato?
A voi il giudizio in attesa della grande notte .
 

giovedì 23 gennaio 2014

Il lato positivo


Il vero titolo del film diretto da David O. Russel è "Silver Linings Playbook" : i Silver Linings rappresentano le buone intenzioni che il protagonista  promette di fare non appena uscito dalla clinica psichiatrica in cui era stato ricoverato per otto mesi. 
Pat manifesta per la prima volte il disturbo bipolare della personalità quando sorprende la moglie a tradirlo con un suo collega di lavoro.  Una  volta dimesso dalla clinica non ha più una moglie, un lavoro ed una stabilità  e per questo decide di porsi dei buoni propositi per riconquistare sua moglie e la sua vita.
L'incontro con Tiffany sarà fondamentale per Pat, sarà la svolta che Pat riuscirà finalmente a dare alla sua esistenza.
Tiffany, interpretata da una Jennifer Lawrence da oscar, è donna provata dal dolore dopo la morte del marito, dipendente da psicofarmaci e ninfomane: cerca di nascondere le proprie debolezze con un apparente sicurezza ed arroganza nel rapportarsi con gli altri. Tiffany convincerà Pat a partecipare ad una gara di ballo con lei promettendogli in cambio di consegnare quell'importante lettera che aveva scritto a sua moglie non appena uscito dalla clinica.

Pat e Tiffany si cureranno a vicenda: l'amore che pian piano nascerà tra i due sarà la miglior terapia per entrambi: i loro difetti e i loro problemi psichiatrici si compenseranno l'un l'altro anche se in principio saranno invece fonte di scontro e di incomprensioni.

"L'unico modo per sconfiggere la mia pazzia era facendo qualcosa di ancora più pazzo. Grazie. Ti amo. L'ho capito dal momento in cui ti ho visto. Mi dispiace mi ci sia voluto così tanto tempo per recuperare!"

Il regista ha lavorato con una storia molto delicata da rappresentare: non solo la monotonia degli scenari che sono intrappolati in un unico piccolo quartiere ma anche l'equilibrio tra dramma e commedia sono diventati, da materiale pericoloso per una buona riuscita del film, dei veri e propri punti di forza su quali la storia ha preso corpo e forma.
Il film ha avuto 8 nomination agli oscar l'anno passato e si è aggiudicato quello per miglio attrice grazie ad una Jennifer Lawrence che sembrava nata per il ruolo di Tiffany.
L'equilibrio tra commedia e dramma fa sì che il film ironizzi sulla debolezza umana difronte ai grandi dolori che a volte la vita ci pone davanti e allo stesso tempo fa riflettere così tanto che non vediamo Pat dalla parte del torto e consideriamo ingiusto che sia stato rinchiuso per otto lunghi mesi in un ospedale psichiatrico per un atto che in quella circostanza sarebbe stato quasi naturale per ogni uomo che è innamorato di una donna.

Pat ci insega che la positività è dietro l'angolo, dietro ogni aspetto negativo della vita di tutti giorni e sta a lui come anche a noi prendere tutta questa negatività per trasformarla in qualcosa di positivo: la libertà vigilata dalla moglie infatti ha fatto sì che Pat e Tiffany si innamorassero, questo è stato il lato positivo per entrambi nel contesto delle loro vite non molto fortunate fino a quel momento.
L'ottimismo è sempre un ottimo pretesto per iniziare da capo.

"Con il giusto stato d'animo tutto è possibile… credo che spesso restiamo impantanati in questo stato di negatività ed è un veleno come nient'altro!"






mercoledì 22 gennaio 2014

Il riccio

La vera eleganza a volte non sta dietro un bell abito e a dei modi e dei gesti raffinati, la vera eleganza può esser nascosta dietro un'anziana signora che nella propria intimità è una vera regina.
La vera eleganza non deve essere ostentata, ma deve esser conservata al sicuro della propria intimità come Reneè, anziana portinaia dell'elegante palazzo parigino di Rue Grenelle gremito di ricchissimi inquilini.
Reneè è più raffinata di tutti gli inquilini del suo palazzo, nonostante il suo aspetto goffo e l'atteggiamnto a primo impatto burbero e poco socievole, come quello di un riccio che si chiude in sè stesso quando percepisce il pericolo.
Reneè si trasforma tra le pareti della sua casa vivendo con raffinatezza e semplicità, apprenzando la vita leggendo le pagine di un buon libro e sorseggiando un tè.
Reneè nasconde dietro un aspetto sciatto ed incurante una cultura enorme che solamente due persone nel palazzo riusciranno ad apprezzare e scoprire dietro quell'ingannevole apparenza.
Paloma Josse è una ragazzina di dodici anni dotata di un'intelligenza incredibile e che si approccia alla vita con criticità e un pizzico di cinismo e che passa le giornate a progettare l'ora del suo suicidio per evitare di diventare un pesce in una boccia, come i suoi genitori intrappolati in una bellissima boccia di cristallo e costretti a guardar il mondo da lí. 
Paloma e Reneé si conosceranno e si riconosceranno l'una nell'altra grazie all'arrivo di un terzo personaggio: il pacato e genile Kakuro Ozu, il quale insieme a Paloma riuscirà a vedere ben oltre la maschera da comune portinaia che Reneé è abituata a vestire. 
La storia è tratta dal romanzo di Muriel Barbery "L'eleganza del Riccio" : nel film i silenzi, gli sguardi e i gesti che spesso sono difficilmente descrivibili tra le pagine di un libro rappresenteranno la bellezza della storia nel film. 
Noi da spettatori guarderemo i personaggi mentre vivono le loro vite strette nella morsa delle rigide regole della società dentro quella boccia di cristallo rappresentata dall'elegante palazzo parigino: il film è appunto rappresentato per la gran parte tra queste raffinate pareti borghersi. 
La delicatezza del lungometraggio del regista francese Mona Achache e la raffinatezza di alcune scene ci propongono un variegato acquario della vita: consiglio vivamente la visione di questo film che mi ha rapita ma anche la lettura di un libro dal fascino unico. 

lunedì 20 gennaio 2014

Il Capitale Umano

La regola impone che prima di guardare un film bisogni leggere il libro: io purtroppo non rispetto quasi mai questa regola ed è sempre il film ad incuriosirmi e farmi venir voglia di leggere il romanzo da cui è stato tratto.
Questo è successo anche per quanto riguarda l'ultimo film di Paolo Virzì da poco uscito nelle sale: Il capitale umano.
L'unica differenza è che guardare questo film è stato un po' come leggere un romanzo giallo: Virzì ha fatto una scelta registica molto interessate ed innovativa all'interno della sua produzione cinematografica.
Emulando un po' lo stile di Tarantino, Virzì ha suddiviso l'intero film in "capitoli" mostrando il punto di vista di personaggi diversi all'interno di uno stesso periodo e coinvolti nel medesimo delitto: un uomo da ritorno da lavoro in bici a tarda notte viene investito da un fuoristrada, scena chiave di tutta la storia posta all'inizio.
Due famiglie di diverso grado sociale si troveranno coinvolte in questo spiacevole avvenimento. quella di Giovanni Bernaschi facoltoso imprenditore e quella di Dino Ossola, un ambizioso immobiliarista oramai sull'orlo del fallimento.
La figlia di Dino Ossola è fidanzata con il rampollo della famiglia Bernaschi: entrambi saranno chiamati in causa davanti a questo delitto che cambierà radicalmente il destino di queste due famiglie.
Virzì è riuscito a costruire un vero e proprio giallo e ci siamo anche noi spettatori al centro della storia che facciamo la parte degli investigatori: ogni capitolo ci viene fornito il tassello mancante per ricostruire tutta la vicenda.
Tratto liberamente dall'omonimo romanzo di Stephen Amidon, Il capitale umano è una storia avvincente che fa molto riflette su come le nostre vite siano condizionate dal denaro e come in questa storia possano rimaner vittime gli unici che con le smanie di arricchimento non c'entravano proprio nulla.
 

sabato 18 gennaio 2014

One Day

Il destino a volte lega più di qualsiasi altra cosa e non esiste distanza o difficoltà che riesca veramente a separare due persone che si amano e sono destinate.
Sembra questo il messaggio che One Day vuole dare, film diretto da Lone Scherfig tratto dall'omonimo romanzo di David Nichols: Emma e Dexter da quel 15 luglio del 1988 erano destinati a vivere il loro amore in un solo giorno ogni anno, da quel 15 luglio, il giorno di San Swithin, Em e Dex saranno destinati a cercarsi senza mai trovarsi ed ad amarsi sempre al momento sbagliato.

"Non pensare che io ci sia rimasta male per stanotte, non voglio il tuo numero né lettere o cartoline e non ti voglio sposare, sappilo, e di certo non voglio bambini. E comunque vada domani, abbiamo vissuto oggi, e se ci dovessimo incrociare in futuro sarà meglio così! "

Emma, interpretata da una bellissima e bravissima Anne Hathaway, è una ragazza impacciata piena di grandi ideali che sogna di diventare una scrittrice, mentre Dexter, interpretato dall'affascinante Jim Sturgess, è un bel giovane di famiglia facoltosa che a differenza di Emma non ha consistenti progetti per il futuro.
Da quella notte quei due giovinastri neolaureati per poco non fecero l'amore: Dexter non poteva fare a meno di Emma e Emma di Dexter.
Due vite diverse, separate, ostacolate da altri amori ma destinate.
Per 20 anni  si sentiranno e penseranno a cosa starà facendo l'altro, mentre Dexter viene risucchiato dalla vita frenetica e sregolata del mondo dello spettacolo e Emma diventa un insegnate di lettere e costruisce pian piano il suo sogno di diventare una scrittrice.
Forse significa questo l'amore: cercare il proprio complementare senza mai arrendersi, sentire dentro che quando si è con quella persona siamo completi, una sola cosa.
Secondo un antico mito greco in un tempo gli uomini avevano 4 braccia, 4 gambe e due teste ed erano così felici da aver suscitato l'invidia di Zeus che decise di separare l'uomo in due metà costringendolo per il resto della sua esistenza a cercare quella metà che lo avrebbe reso completo, di nuovo felice.
Emma e Dexter solo l'uno la metà dell'altro: si completano nei loro difetti e nei loro pregi. 

Al film non manca assolutamente nulla di quello che è scritto nel libro, lo posso affermare da buona lettrice: le emozioni che riesce a trasmetterti ogni singola pagina del libro ti avvolgono nel film coinvolgendoti completamente nella storia.

Anche noi come Emma e Dexter cerchiamo qualcosa o qualcuno che sembra irraggiungibile ma nonostante tutto sentiamo che quella cosa o persona ci sia destinata in tal modo che non riusciamo a smettere di pensare a quella costantemente, ogni giorno, ogni istante, ogni 15 luglio.
 
 

venerdì 17 gennaio 2014

Qualcuno volò sul nido del cuculo



Oggi voglio parlare di un film che è stato particolarmente importante per me: è stato non solo il tema principale della mia tesina per la maturità ma è anche stato una fonte d'ispirazione per la mia futura carriera.
Ho visto questo film grazie a mio padre che me lo consiglio vivamente per trarre qualche spunto per fare la tesina e fu così che "Qualcuno volò sul nido del cuculo" è diventato non solo un dei miei film preferiti ma anche un'ispirazione.
La mia tesina trattava l'ambito della malattia mentale rappresenta nell'ambito cinematografico; cinema e psichiatria sono nati nella stessa epoca, sono cresciuti insieme e fin dall’inizio hanno condiviso un medesimo soggetto: il malato di mente, il pazzo, il folle, il disadattato e le proprie emozioni e atteggiamenti con il mondo dei “sani”.

“Qualcuno volò sul nido del cuculo” è un film di Milos Forman vincitore di ben 5 Oscar, tratto dall’omonimo romanzo di Ken Kesey e che scosse profondamente l’opinione pubblica riguardo ai trattamenti a cui erano sottoposti i malati mentali negli ospedali psichiatrici mentre il mondo negli anni sessanta stava vivendo il benessere del boom economico.
Randle McMurphy è il protagonista di questa avvincente storia, interpretato da un bravissimo psichedelico Jack Nicholson: Randle si trova ricoverato il una clinica psichiatrica per alcuni reati commessi e per scampare al carcere si finge pazzo.
McMurphy si distinguerà dagli altri pazienti per il suo atteggiamento anticonformista: si prende gioco delle sedute di psicoanalisi della dottoressa Ratched, la caporeparto, ed inoltre non rispetta le severe regole dell’ospedale e si rifiuta di prendere i medicinali.

Per metafora, il nido è il manicomio e il cuculo l'infermiera capo, che con il suo staff si insinua nelle loro menti e se ne impossessa, distruggendone ogni potenzialità. Quel “qualcuno” è Randle, delinquente mandato “tra i matti” per correggere alcuni suoi comportamenti ribelli: sarà lui a smascherare il carattere repressivo dell'istituzione, pagando per questo il duro prezzo dell'uso indiscriminato che veniva fatto di lobotomia ed elettroshock.
L’atteggiamento di McMurphy mette quindi in rilievo il distacco disumano che infermieri e dottori hanno all’interno dell’ospedale: durante il film può nascere il dubbio se nel manicomio i veri malati siano i pazienti o i dottori stessi, concezione simile a quella di Zeno Cosini, il protagonista del romanzo “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo.
Zeno personaggio che si sente malato perché non si rispecchia nella società, o Zeno, come Randle McMurphy, è unico vero sano perché vive in una società malata che non lo rispecchia?

E' un film che consiglio vivamente: una storia avvincente, commovente e che fa molto riflettere e con attori così realistici nel ruolo di malati psichiatrici da poter fare una vera e propria indagine psicologica su ognuno di loro.