martedì 29 aprile 2014

Viviamo soli e moriamo soli con le scelte che abbiamo fatto. (Nikita)

La scelta paralizza l'uomo, secondo Kierkegaard l'uomo è paralizzato dal fatto di rendersi artefice del proprio destino, dell'addossarsi la responsabiltá delle proprie colpe come dei propri meriti.
All'uomo secondo Kierkegaard fa paura la responsabilità ed il potere, se pur parziale talvolta nella società, di prendere decisioni.
Un pensiero totalmente antitetico alla visione dell'homo faber fortunae suae di Appio Claudio Cieco e alla naturale propulsione all' esser gli unici artefici della propria vita e di non affidare nulla al caso o alla provvidenza.
La stessa religione ci dice che Dio ha dato all'uomo il libero arbitrio, la facoltà di conoscere dove è il bene e dove è il male di scegliere quale delle due strade percorrere; Dio ha dato all'uomo pure la facoltà di avere ripensamenti e di tornare indietro sui propri passi per intraprendere un'altra strada.

Perché la filosofia di Kierkegaard, a mia opinione, è così vicina alla realtà? Perché vedo più utopistica la ragione per cui l'uomo sia davvero artefice del proprio destino?
Credo che le scelte siano condizionate da qualcosa che non sempre dipende da noi, credo che le scelte a volte siano costrette a volte indispensabili e non parlo del saper scegliere cosa è meglio tra un gelato alla crema o una granita in un afoso pomeriggio d'agosto.
L'uomo non è tanto paralizzato dall'indecisione ma tanto più dalla paura di sbagliare così che la stessa libertà di scelta diventa una sorta di croce e di condanna e fonte di insicurezza: scegliere e poi avere rimorsi? scegliere e poi avere rimpianti? scegliere di essere felici è la decisione più importante che ognuno di noi si pone ogni santo giorno appena sveglio.

Vi chiederete cosa c'entra tutta questa parabola filosofica in un blog che essenzialmente tratta di cinema: ho sempre visto il cinema come una diversa lente con la quale l'uomo riesce a leggere la propria vita.
Penso che il cinema rappresenti la seconda scelta, quella che l'uomo nella sua vita non è mai riuscito a prendere per paura di sbagliare o semplicemente per insicurezza, se può sembrar folle, anche per paura di esse troppo felice.
Il cinema rappresenta la vita che avremmo sempre voluto, la storia d'amore che abbiamo sempre desiderato, il lavoro che non abbiamo scelto di fare, come pure la famiglia che non siamo riusciti a costruire.
I film sono lo specchio delle paure e delle gioie, sono una realtà traslata, fittizia forse utopica ed irreale: i film ci danno l'opportunità di vivere la scelta che non abbiamo fatto e anche di costruire un sogno sulle scelte che vorremmo fare.
Il cinema da sempre é frutta della nostra esperienza di vita ma anche la più bella macchina fautrice di chimere e di illusioni.


domenica 27 aprile 2014

The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca

Nel 1952 mai nessuno avrebbe immaginato che un giorno  sarebbe stato eletto un presidente degli Stati Uniti un uomo di colore; Cecil Ganes, da semplice “nero di casa”, proprio in quell’anno iniziava il suo lungo servizio da maggiordomo alla Casa Bianca.
Per otre 34 anni Cecil ha servito fedelmente bel sette presidenti diversi, assistendo silenziosamente e passivamente alle decisioni più importanti della storia americana.
La pellicola diretta da Lee Daniels trae ispirazione da un articolo pubblicato sul “Washington Post” rappresentando così la storia vera di Eugene Allen, maggiordomo di colore che servì la casa bianca per oltre tre decenni.


Lee Daniels ha deciso di rappresentare il film alternando fatti di vita di privata del protagonista ad eventi storici importantissimi nella storia americana: così mentre Cecil serviva, come se fosse invisibile, il tè nella sala ovale ascoltando le conversazioni tra personaggi politici più importanti, che decidevano le sorti d’America, fuori i due figli di Cecil lottavano per i propri diritti.
In quegli anni anche la visione politica e sociale dei cittadini di colore non era univoca: c’era chi come Cecil aspettava un cambiamento “dall’alto” e nel frattempo decideva di non agire sottomettendosi passivamente alla società dei bianchi, come era stato abituato a fare fin dalla nascita; ed infine c’era chi invece iniziava a coltivare una visione rivoluzionaria come quella dei figli di Cecil, i quali in prima persona si attivano affinché qualcosa cambi.
Le visioni opposte creano incomprensioni non solo nella società ma anche nella vita privata di Cecil con i suoi figli: si creano incomprensioni che mettono in risalto una crisi dei valori, ma anche una rivoluzione della stessa visione della vita con un graduale passaggio dalla generazione di Cecil alla nuova generazione.
La figura possente ma umile del protagonista, interpretato da Forest Whitake, è stata un mezzo efficace per trasmettere un messaggio pedagogico che non fosse troppo pedante ed indocile come quello invece che aveva invece ricostruito Tarantino con Django: chi meglio di un regista afroamericano avrebbe potuto dirigere una pellicola che vuol trattare il punto di vista dei cittadini di colore, escludendo del tutto il punto di vista dei bianchi?
The Butler è un film che va a completare il variopinto puzzle di film che raccontano la graduale conquista dei diritti civili nella storia degli Afroamericani, approdando in sala dopo Django Unchained di Tarantino , Lincoln di Spielberg e prima di 12 anni schiavo di Steve McQueen.
The Butler si posiziona tra tutte queste opere che sembrano richiamarsi vicendevolmente, proseguendo l'una i discorsi dell'altra e componendo il colossale affresco di una nazione perennemente indecisa fra scelte morali e violenza, tra parole e pistole, in particolare dall’elezione di Barack Obama a presidente degli Stati Uniti.
Lee Daniels approfitta di questa pellicola per proseguire il suo percorso di rilettura critica della storia americana inserendo la questione razziale, che aveva già iniziato con il film “Precious”.
Nell’arco temporale del servizio di Cecil alla casa bianca possiamo notare un America molto forte economicamente dopo la Seconda Guerra mondiale, ma purtroppo ancora molto arretrata socialmente.

"Gli americani chiudono sempre un occhio su quello che hanno fatto al loro popolo. Guardiamo il resto del mondo e giudichiamo. Sentiamo parlare dei campi di concentramento ma quei campi ci sono stati per ben 200 anni anche qui, in America." afferma Cecil in una delle scene finali del film guardando in parallelo il proprio presente, con Barack Obama candidato alla presidenza, ed il proprio passato rappresentato dalle piantagioni di cotone dove aveva trascorso la sua intera infanzia.
Oltre al cast stellare che compone questo film, che va da Oprah Winfey e Mariah Carrey  a Robin Williams e Lenny Kravitz, The Butler è sicuramente un’ opera eccezionale che ha saputo raccontare per immagini la storia di un paese che ha molto da dire circa il suo passato: un’ impresa sicuramente non semplice rappresentare in una sola pellicola un arco temporale così pregno di storia.
In una manciata di minuti vediamo l’evolversi di una società e della storia: da Martin Luther King alle Black Panters, dall’omicidio di Kennedy allo scandalo Watergate fino ad arrivare alla figura possente di Cecil Ganes, ormai anziano, che attende di incontrare Barack Obama, il suo sogno divenuto finalmente realtà.
Cecil nell’ultima scena del film si appresta ad incontrare il suo “ultimo presidente”, quello in cui ha racchiuso tutte le sue speranze e che avrebbe voluto servire tempo prima: zoppicando si incammina per l’ultima volta tra i corridoi della Casa Bianca nei quali ha servito a lungo non solo sette presidenti, ma gli Stati Uniti d’America stessi.


Lee Daniels è riuscito a renderci complici e partecipi di una svolta storica e del netto passaggio verso l’era moderna con un film che denuncia la discriminazione razziale, rivendicando una competenza antropologica e culturale che suona come una dichiarazione di apartheid. 

domenica 6 aprile 2014

La migliore offerta.


" In ogni falso si nasconde sempre qualcosa di autentico" questa è la frase su cui l'intero film, scritto e diretto da Giuseppe Tornatore, si basa: svelarvi tuttavia la trama avvincente ed intrigante sarebbe un po' come consigliarvi di leggere un romanzo di Arthur Conan Doyle, raccontandovi subito chi è l'assassino.
La migliore offerta è un film che va assaporato in ogni istante, in ogni scena fin nel più piccolo particolare: non può non rapire l'attenzione dello spettatore. 

Virgil Oldman, interpretato da un bravissimo Goeffrey Rush, è un richiesto battitore d'aste che, con un po' di astuzia e con l'aiuto dell'amico Billy, è riuscito ad accumulare negli anni una collezione di ritratti femminili dall'inestimabile valore.
Virgil nutre il solo amore  per le opere d'arte ed il restauro: le uniche figure femminili che ha amato sono stati i ritratti di donna che ha collezionato segretamente in casa. 
La sua vita prenderà un'inaspettata svolta dopo la telefonata di Claire, una giovane ereditiera in possesso di un'immensa proprietà, ormai diventata troppo grande per lei: questa chiede appunto a Virgil di fare un catalogo per mettere all'asta tutto il suo patrimonio.
Claire è affetta da agorafobia e non è mai uscita dal suo appartamento e non si è mai fatta vedere da nessuno: riesce a relazionarsi con Virgil solo al telefono o parlando con lui da dietro le pareti della sua camera, senza mai mostrarsi.
Virgil è affascinato dal mistero della vita assurda di una così delicata e giovane donna, così affascinato che non si accontenta di sentirne solo la voce: freme dal desiderio di vederla. 

Giuseppe Tornatore è riuscito a riprodurre questa intrigata sceneggiatura con estrema delicatezza, come se avesse tra le mani un antico e fragile pezzo d’antiquariato: i pochi personaggi  che appaiono durante tutta la pellicola sono ben inquadrati, hanno forti personalità e si muovono entro spazi circoscritti.
La scenografia non è molto varia e la maggior parte della storia si svolge in una sola stanza, all’interno dell’immenso palazzo decadente di proprietà di Claire.
La villa dal fascino decadente, arroccata e dalle pareti sbiadite è simbolo anche di due personaggi di una bellezza ed un’identità nascosta, che hanno entrambi bisogno di esser “rivalutati” e “restaurati” .
La colonna sonora composta da Ennio Morricone, che da sempre ha collaborato alla produzione dei film di Tornatore, accompagna ogni scena del film: le eleganti composizioni di Morricone sono affiancate alle lunghe inquadrature, dalla scenografia quasi sempre illuminata come se fosse rappresentata tra le mura di un museo.
 
Anche se non riusciamo subito a vedere il personaggio di Claire, già dal tono della sua voce e dal suo modo di fare, a volte schivo, riusciamo a disegnare nelle nostre menti una donna dall’aspetto esile ma dal forte carattere.
La problematica Claire è messa in parallelo con un altrettanto problematico Virgil: uomo solo ed affetto da un disturbo ossessivo compulsivo della personalità, che lo porta spesso ad aver difficoltà a relazionarsi con il mondo senza indossare i suoi preziosi guanti, che lo proteggono da un qualsiasi contatto diretto con l’esterno.
Due caratteri così simili e difficili si scontreranno fino a rompere quella parete, sia fisica che morale, che separa l’uno dall’altra.

La miglior offerta è un film che descrive la stessa vita come un’ autentica opera d'arte, o come un falso, talvolta costruito su rapporti che non sono sinceri: fa riflettere su quanto di quello che simuliamo nella nostra quotidianità sia vero.
Secondo Virgil ogni falsario mette qualcosa di proprio nella copia dell'autentico: noi quanto di nostro mettiamo nel costruire rapporti superficiali, falsi, di convenienza? Quanto ci lasciamo coinvolgere alla fine? Questi sono tutti interrogativi che il film stimola nello spettatore.

La raffinatezza del film di Giuseppe Tornatore sta proprio dietro questo parallelo: immaginate di poter mettere ad un' asta le vite, gli amori, le passioni delle persone e da bravi antiquari, scegliere quelle autentiche e di inestimabile valore. Immaginate di poter comprare ad un asta la più bella storia d'amore, quale sarebbe in questo caso la vostra miglior offerta ?