Nel 1952 mai nessuno avrebbe
immaginato che un giorno sarebbe stato
eletto un presidente degli Stati Uniti un uomo di colore; Cecil Ganes, da
semplice “nero di casa”, proprio in quell’anno iniziava il suo lungo servizio
da maggiordomo alla Casa Bianca.
Per otre 34 anni Cecil ha servito
fedelmente bel sette presidenti diversi, assistendo silenziosamente e
passivamente alle decisioni più importanti della storia americana.
La pellicola diretta da Lee
Daniels trae ispirazione da un articolo pubblicato sul “Washington Post”
rappresentando così la storia vera di Eugene Allen, maggiordomo di colore che
servì la casa bianca per oltre tre decenni.
Lee Daniels ha deciso di
rappresentare il film alternando fatti di vita di privata del protagonista ad
eventi storici importantissimi nella storia americana: così mentre Cecil
serviva, come se fosse invisibile, il tè nella sala ovale ascoltando le
conversazioni tra personaggi politici più importanti, che decidevano le sorti
d’America, fuori i due figli di Cecil lottavano per i propri diritti.
In quegli anni anche la visione
politica e sociale dei cittadini di colore non era univoca: c’era chi come
Cecil aspettava un cambiamento “dall’alto” e nel frattempo decideva di non
agire sottomettendosi passivamente alla società dei bianchi, come era stato
abituato a fare fin dalla nascita; ed infine c’era chi invece iniziava a
coltivare una visione rivoluzionaria come quella dei figli di Cecil, i quali in
prima persona si attivano affinché qualcosa cambi.
Le visioni opposte creano incomprensioni
non solo nella società ma anche nella vita privata di Cecil con i suoi figli:
si creano incomprensioni che mettono in risalto una crisi dei valori, ma anche
una rivoluzione della stessa visione della vita con un graduale passaggio dalla
generazione di Cecil alla nuova generazione.
La figura possente ma umile del
protagonista, interpretato da Forest Whitake, è
stata un mezzo efficace per trasmettere un messaggio pedagogico che non fosse
troppo pedante ed indocile come quello invece che aveva invece ricostruito
Tarantino con Django: chi meglio di un regista afroamericano avrebbe potuto
dirigere una pellicola che vuol trattare il punto di vista dei cittadini di
colore, escludendo del tutto il punto di vista dei bianchi?
The Butler è un film che va a completare il variopinto puzzle di
film che raccontano la graduale conquista dei diritti civili nella storia degli
Afroamericani, approdando in sala dopo Django
Unchained di Tarantino , Lincoln di Spielberg e prima di 12 anni
schiavo di Steve McQueen.
The
Butler si posiziona tra
tutte queste opere che sembrano richiamarsi vicendevolmente, proseguendo l'una
i discorsi dell'altra e componendo il colossale affresco di una nazione
perennemente indecisa fra scelte morali e violenza, tra parole e pistole, in
particolare dall’elezione di Barack Obama a presidente degli Stati Uniti.
Lee
Daniels approfitta di questa pellicola per proseguire il suo percorso di
rilettura critica della storia americana inserendo la questione razziale, che
aveva già iniziato con il film “Precious”.
Nell’arco
temporale del servizio di Cecil alla casa bianca possiamo notare un America
molto forte economicamente dopo la Seconda Guerra mondiale, ma purtroppo ancora
molto arretrata socialmente.
"Gli americani chiudono sempre un occhio su
quello che hanno fatto al loro popolo. Guardiamo il resto del mondo e
giudichiamo. Sentiamo parlare dei campi di concentramento ma quei campi ci sono
stati per ben 200 anni anche qui, in America." afferma Cecil in una delle scene finali del film guardando in parallelo
il proprio presente, con Barack Obama candidato alla presidenza, ed il proprio
passato rappresentato dalle piantagioni di cotone dove aveva trascorso la sua
intera infanzia.
Oltre al cast stellare che compone questo film, che va da Oprah Winfey e Mariah
Carrey a Robin Williams e Lenny Kravitz,
The Butler è sicuramente un’ opera
eccezionale che ha saputo raccontare per immagini la storia di un paese che ha molto
da dire circa il suo passato: un’ impresa sicuramente non semplice rappresentare in una
sola pellicola un arco temporale così pregno di storia.
In una manciata di minuti vediamo
l’evolversi di una società e della storia: da Martin Luther King alle Black
Panters, dall’omicidio di Kennedy allo scandalo Watergate fino ad arrivare alla
figura possente di Cecil Ganes, ormai anziano, che attende di incontrare Barack
Obama, il suo sogno divenuto finalmente realtà.
Cecil nell’ultima scena del film
si appresta ad incontrare il suo “ultimo presidente”, quello in cui ha
racchiuso tutte le sue speranze e che avrebbe voluto servire tempo prima:
zoppicando si incammina per l’ultima volta tra i corridoi della Casa Bianca nei
quali ha servito a lungo non solo sette presidenti, ma gli Stati Uniti
d’America stessi.
Lee Daniels è riuscito a renderci
complici e partecipi di una svolta storica e del netto passaggio verso l’era
moderna con un film che denuncia la discriminazione razziale, rivendicando una competenza antropologica e culturale
che suona come una dichiarazione di apartheid.
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