sabato 31 dicembre 2016

Buon Anno con 7 ore di anticipo!

Oggi sono uscita per la prima volta dopo quasi tre giorni di clausura in camera per qualche linea di febbre ed un terribile raffreddore: in un centro commerciale vicino alla mia università c'era una celebrazione internazionale con vari stand rappresentanti varie località del mondo, tra cui naturalmente l'italia, a rappresentarla c'erano due miei amici. Camminando tra i vari stand ben nascosta dalla mia sciarpa di lana per evitare di prendere una broncopolmonite, ho iniziato a pensare a quante persone  provenienti da paesi così lontani e diversi nel mondo, separati da molte ore di fuso fossero riunite in un unico luogo allo stesso istante. E così ho anche iniziato a pensare a quanto la distanza renda differenti le nostre vite, non solo in termini culturali ma anche per concezione di tempo e a quanto fosse strano trovarmi qua in Cina a festeggiare con 7 ore di anticipo rispetto a come sono abituata il nuovo anno: significa che sono più vecchia in Cina che in Italia? Non so se questi pensieri siano dovuti all'eccessiva dose di antibiotici presa in questi giorni, cosa molto probabile, ma mi sono trovata in uno Starbucks all'interno del centro commerciale a scrivere dietro una busta di carta che probabilmente in origine aveva dei biscotti al suo interno tutto quello che la mia testa iniziava ad elaborare. "Are you writing a letter?" mi ha chiesto timido un cinese che sedeva vicino a me. Gli ho risposto di no, ma in verità stavo scrivendo una lettera a me stessa.

Perché abbiamo questa maniacale necessità di far entrare tutto in uno schema così preciso, ricordarci date ed ore, appuntamenti, schematizzare tutto per sentirci più padroni di qualcosa che in realtà non riusciremo mai a controllare, il tempo. I miei studi classici quando si parla di tempo mi fanno subito pensare alla severità del caro e vecchio Seneca in " De Brevitate Vitae" : "Noi non disponiamo di poco tempo, ma ne abbiamo perduto molto. La vita è lunga abbastanza e ci è stata data con larghezza per la realizzazione delle più grandi imprese, se fosse impiegata tutta con diligenza; ma quando essa trascorre nello spreco e nell’indifferenza, quando non viene spesa per nulla di buono, spinti alla fine dall’estrema necessità, ci accorgiamo che essa è passata e non ci siamo accorti del suo trascorrere." Le parole di Seneca mi hanno sempre messo una certa ansia, non sono mai stata brava ad organizzare il mio tempo, e sono una campionessa nel rimandare a domani quello che potrei fare oggi, ma se in realtà quello che è scritto in "De Brevitate Vitae" sotto alcuni aspetti non è altro che un buon consiglio da seguire senza pianificare alla perfezione ed in modo maniacale ogni secondo della nostra vita ma semplicemente iniziando a fare oggi quello che programmiamo di fare domani.
 Abbiamo dei sogni che a volte sembrano avere la scadenza stampata sul coperchio, un po' come gli yogurt che teniamo nel frigo e che ci disgusta consumare anche un solo giorno dopo la scadenza. Viviamo ogni giorno con la fretta di vivere il successivo con la speranza che sia migliore, sia il giorno in cui i sogni a scadenza ravvicinata si avvereranno: questo è lo stesso motivo che ci spinge a fare mille buoni propositi per l'anno nuovo, oppure anche semplicemente a promettere di mettersi a dieta il Lunedì. Ma quanti sono realmente i buoni propositi che manteniamo? E' ovvio che nel 2017 non smetterete di fumare, non andrete in palestra, non sarete più diligenti nello studio e a lavoro e non vi metterete a dieta se non iniziate da oggi. Strana l''importanza che diamo al futuro rispetto al presente, abbiamo una miriade di sogni che crediamo abbiano una scadenza ravvicinata e poi tendiamo a rimandare a domani quello che potremmo iniziare da oggi.
Conferiamo un potere un po' troppo grande a quello che tra poche ore non sarà più l'anno nuovo ma il monotono e comune presente, diamo troppo potere al tempo invece di controllarlo, ce lo lasciamo volar via dalle mani.
Quest'anno festeggerò con sette ore di anticipo, ma questo non significherà iniziare prima a compilare la lista dei buoni propositi, come se lo scoccare della mezzanotte avesse lo stesso magico potere che ha nella fiaba di Cenerentola: sarà solo un normale andare avanti, senza nessun magico cambiamento.
Vogliamo cambiare? Facciamolo da ora, smettiamo di riporre troppa speranza nel futuro, ma iniziamo da questo istante a realizzare i propri sogni, un passo alla volta.
Con questo vi auguro Buon Anno con sette ore di anticipo!

martedì 27 dicembre 2016

Mamma, quest'anno a Natale ho preso l'aereo!

Come inizio sembrava un Natale uscito fuori da una qualche commedia romantica: il mio arrivo in aeroporto in una grande città, entusiasta della mia nuova avventura e con il trolley che veloce seguiva la mia uscita trionfale agli arrivi del Pudong International Airport di Shanghai, ma con l'unica differenza che non c'era nessuno fuori ad accogliermi.
L'ansia non mi ha mai abbandonato per tutto il viaggio, dalla partenza in taxi preso rigorosamente tre ore e mezza prima della partenza per paura che la mia avventura natalizia si trasformasse nella tragica versione di "Mamma ho perso l'aereo". L'unica volta che mi sono rilassata in viaggio ero sul Maglev, treno super veloce che collega l'aeroporto di Shanghai al centro della città: incantata da come il paesaggio corresse rapido sotto i miei occhi fuori dal finestrino ho per poco lasciato il bagaglio su di un treno che sarebbe ripartito alla velocità della luce. Quindi mai abbandonare l'ansia, è pericoloso quando si viaggia.
Fatti i vari cambi con la metro mi sono trovata a cercare l'appartamento di una ragazza che mi aveva offerto molto gentilmente couch-surfing : incredibile come una perfetta estranea si sia fidata a lasciarmi le chiavi di casa nascoste dietro una ghirlanda natalizia. Dopo una simpatica caccia al tesoro con una mappa che segnava tutte le tappe della mio percorso sono arrivata a destinazione: piccolo appartamento, molto accogliente e ben tenuto nelle vicinanze del centro commerciale più grande di Shanghai. Zona molto chic ed ottima per spostarsi nei punti principali della metropoli, ma comunque a netto contrasto con la decadenza ed abbandono dell'edificio in cui l'appartamento si trovava, ma la cosa non mi ha stupito più di tanto dopo varie esperienze nel vasto continente giallo. Tempo di lasciare le borse più pensanti e sono uscita alla scoperta della città: ho sempre amato viaggiare in metropolitana e devo dire che Shanghai ha una metro molto ben organizzata rispetto ad altre città cinesi come Pechino. Sono andata subito diretta al Bund, ad ammirare il meraviglioso Skyline  che si affaccia sul fiume Huang Pù al di là del quale si innalzano i grattacieli di varie forme geometriche della zona chiamata Pudong: davanti ai miei occhi avevo una versione tutta grattacieli di Shanghai che mi ricordava vagamente New York ai tempi d'oro di Wall Street  mentre alle mie spalle avevo edifici dallo stile britannico, con pure una copia più piccola del Big Ben che allo scoccare di ogni ora riproduceva un suono molto simile a quello di Londra.
Shanghai è figlia dell'occidente e si vede: non è priva di storia ma ha solo avuto storia diversa rispetto alle altre città cinesi. Ha ospitato le principali concessioni straniere alla fine delle guerre dell'oppio, e da una semplice paesino di pescatori, la stessa parola "Bund", ad esempio, è un termine anglo-indiano che indica l'argine fangoso di un lungofiume, è diventata un centro importantissimo per il commercio ed il contatto con l'occidente.. Basta spostarsi con la metro da una zona all'altra e sembra di cambiare città:  da Lujiazui, centro economico e finanziario che fa venire il torcicollo a forza di tenere la testa rivolta verso l'alto a cercare la fine degli immensi grattacieli spesso annebbiati dallo smog, ti ritrovi a poche fermate della metro nella ex Concessione francese, con edifici europei, palazzi d'epoca e complessi di appartamenti art decò,  che un tempo erano ritrovo dei principali protagonisti della Belle Epoque, di avventurieri, prostitute e scrittori.
Ma la vera Cina in questo clima così cosmopolita dove trova il suo spazio? Nei vicoli e dietro gli angoli  tra un grattacielo ed una casa a mattoncini rossi la vera Cina pulsa in tutta Shanghai e così come il sangue che circola nel nostro corpo ci rende vivi, la tradizione rende viva una città che non è solo una semplice imitazione dell'occidente.
Basta allontanarsi un poco dal centro per ritrovarsi in quartieri con case diroccate e venditori di deliziosi "baozi",  nel cui centro silenzioso si innalza un monastero buddista che richiama i fedeli con il forte odore di incenso, oppure basta cercare un giardinetto, sperando che non sia invaso dai turisti, per rivivere la stessa calma dei letterati cinesi di epoca Ming.



E' stato un Natale alternativo: ho apprezzato la compagnia di me stessa e di amici speciali che ho incontrato nella vasta Shanghai, la libertà di scegliere cosa fare in una città che offre migliaia di opportunità ma non nascondo il nodo alla gola quando ho visto le foto da casa mia in Italia.
Da città internazionale che si rispetti Shanghai in questo periodo 
era addobbata come un bellissimo e maestoso albero di natale. Nonostante i milioni di occhi a mandorla con un cappello da Babbo Natale in testa che mi auguravano buone feste e le mille luci che illuminavano ogni angolo della città quest'anno non ho sentito l'atmosfera magica del Natale. Sarà che in cina, come stato laico festeggiano il natale solo moda internazionale e non è una festa sentita veramente come il 春节, il tradizionale Capodanno Cinese che si celebra all'incirca tra il 21 Gennaio e metà Febbraio. Mi sono trovata a girare per una città nuova da sola, sempre con il naso all'insù ad ammirare un complesso architettonico unico al mondo, a parlare a volte con me stessa (alcuni mi avranno presa per matta sulla metropolitana), a chiedere foto a perfetti estranei e a festeggiare il Natale per la prima volta in vita mia al ristorante, rigorosamente Italiano, con uno dei miei più cari amici che studia a Shanghai ed un gruppo internazionale di compagni entusiasti di mangiare una buona pizza cotta al forno al legna o un bel piatto di lasagne.

La tavola apparecchiata a festa ed i tortellini fumanti nella scodella di porcellana bianca, per non parlare del panettone a fine pranzo e del film in compagnia di tutti i parenti in salotto, con il caminetto acceso e nonna che russa dopo 3 minuti davanti alla televisione. 

Purtroppo è vero, nessun posto è come casa: mancano meno di due settimane al mio rientro e sono felice di sapere che avrò l'occasione di festeggiare un secondo Natale in famiglia, mi dispiace solo per i miei cari non daranno al fegato il tempo di riprendersi dalle mega mangiate natalizie.

mercoledì 30 novembre 2016

La mia nostalgica Odissea

Sono 3 mesi che vivo lontana da casa, non sono molti e sono passati velocemente dopo aver trovato una routine nella mia nuova realtà cinese, ma anche se non sono un eternità vivo alcuni ricordi come se appartenessero ad un lontano passato, sono un eco che continua a ripetersi ed ogni giorno mi sembra sempre più lontano.
Il tempo scorre, e come dei granelli di sabbia tra le mie mani riesco a malapena a trattenerlo che il presente è già un lontano ricordo: la nostalgia è strana, è bella e allo stesso tempo così triste che a volte mi domando come Ulisse, il più grande nostalgico della storia, abbia mai potuto vivere 20 lunghi anni lontano da Itaca e dalla sua Penelope. Forse è proprio quella forza data dalla nostalgia che lo ha spinto a tornare affrontando mille peripezie ed ostacoli e non lasciandosi andare per sempre tra le braccia di una bellissima Calipso, nonostante nel quinto canto lui stesso dica alla dea: "So anch'io, e molto bene, che a tuo confronto la saggia Penelope per aspetto e grandezza non val niente a vederla... ma anche così desidero e invoco ogni giorno di tornarmene a casa, vedere il ritorno."
La nostalgia è l' illusione che il tempo a casa si sia fermato, e che quel ricordo gioioso sia sempre lo stesso quando invece non riusciamo ad ammettere che noi prima di tutti saremo cambiati al ritorno e la vita di prima forse ci starà stretta come un vestito di quando eravamo bambini.

A volte penso di averla perduta, quella mia caratteristica nostalgia, di non avere neanche più un ricordo nitido del  passato e poi basta quel poco, un sapore, un odore un semplice suono a risvegliare una tempesta di emozioni e a rendere vive più che mai quelle immagini che sembravano sbiadite.
Nei miei tre mesi passati in Cina spesso mi è capitato di distaccarmi completamente dal presente per tornare a vivere qualche ricordo del passato, come se il tempo si fermasse: ed è così che l'odore della mia pelle mi sembra quello di mia madre, quando mi stringevo a lei sotto le coperte da bambina, e parlavamo sottovoce della nostra giornata, dei nostri sogni e delle nostre mille ansie.
Anche un semplice cane che abbaia qua mi ha riportato alla mente il mio Charlie che scodinzola ed impazzisce ogni volta che mio babbo torna da lavoro, e mi ricorda anche il mio sollievo nel sentire aprire finalmente la porta di ingresso per iniziare a mangiare la cena che io mamma e mia sorella Mati aspettavamo sempre troppo a lungo. Mi manca sedermi a tavola, vivere quella monotona  quotidianità che la mia permanenza a Venezia ha reso un evento sempre più speciale, come un figliol prodigo che ritorna a casa del padre. I pranzi domenicali che mi sembrano sempre così tristi perché erano segnale che il weekend era arrivato al termine, ora mi mancano da morire: non sapete cosa darei per un bel pollo arrosto con patate di mia nonna Laura, come anche quanto vorrei sentire la sua calda risata ed i battibecchi con mio nonno Fabrizio.
Come non sapete cosa darei per vedere quel panorama mozzafiato che ammiravo ogni volta assieme a mia mamma sulla mitica Jeep metallizzata sulla strada verso Montefoscoli, per andare dalla mia nonna Giovanna a prendere le casse di pomodori arrivate direttamente dal suo orto: quanto vorrei sentire il silenzio di quelle strade diroccate che vedono al massimo 20 macchine al giorno nei periodi più trafficati, e pure sentire le calde mani ruvide di nonna Giovanna che mi accarezzano il viso.
Venezia invece, la mia seconda casa, porta con se una nostalgia strana, legata agli amici ed al silenzio del mattino, quando mi svegliavo all'alba per andare a buttar via la spazzatura e solo il rumore dei miei passi ed i gabbiani erano una malinconica colonna sonora alla mia giornata.
Mi manca il colore dei tramonti visti dalle Zattere, uscita distrutta dopo intensi pomeriggi di studio in biblioteca, per poi mescolare tutti i miei pensieri ed ansie dentro un bel bicchiere di Spritz allo Squero, di un arancione acceso che si confonde pian piano con quel colore rossastro che il sole dipinge calandosi nel canale della Giudecca.
Vorrei camminare tra le calli veneziane e stancami sui ponti facendo a spallate con quei turisti rimbambiti dalla bellezza di questa città magica. Vorrei avere qua le notti veneziane con quel caos silenzioso sotto la fioca luce di un lampione ed una bottiglia di vinello in mano, pronta a brindare alla vita ed agli amici.
Le più piccole cose, sono quelle che rendono speciale ogni momento ed unico il ricordo: sono i particolari a fare la differenza; in questi momenti in cui mi abbandono ai miei nostalgici pensieri mi domando anche se avrò mai ricordi del genere di Lanzhou, perché purtroppo quando li vivi, certi posti e certe situazioni, non sembrano mai così belli come in un ricordo... forse perché l'uomo è destinato a rimpiangere quello che non ha più e a vivere per sempre nella dolce-amara nostalgia in perenne ricerca di una perduta Itaca.

martedì 25 ottobre 2016

Non avere gli occhi a mandorla in Cina

In Italia credo non salterebbe mai in mente a nessuno di fermare un cinese per strada per chiedere di fare una foto assieme, a meno che non si tratti di Jackie Chan;  in Cina invece, specialmente nelle zone meno turistiche, chi non ha gli occhi a mandorla viene spesso visto e trattato come una celebrità.
Non sto a citare le migliaia di volte che mi sono ritrovata a scattare selfie con perfetti estranei che impacciati mi si avvicinavano tenendo sempre lo sguardo basso per chiedermi di fare una foto con loro.
Non so se sono già andata a finire in qualche album di famiglia o sono diventata una carta da parati di cattivo gusto in qualche appartamento di Lanzhou al trentaquattresimo piano, ma non mi so spiegare come mai noi occidentali siamo così affascinanti qua.
Fino ad ora ho vissuto situazioni che sembrano uscite fuori da una qualche commedia strampalata, come quando stavo tranquillamente andando alla stazione dei treni per comprare dei biglietti insieme agli altri miei tre compagni di avventure della Lanzhou Daxue, e mi sono ritrovata assieme alla mia allegra compagnia all'inaugurazione di una fabbrica di 白酒 (baijiu), il tipico liquore cinese che è capace di disintegrarti le tonsille al primo sorso.
Quella sera non era tanto importante la promozione della nuova fabbrica quanto invece la nostra presenza all'inaugurazione: brindisi e foto, foto mentre facevamo il brindisi, foto e poi altri brindisi e ci hanno pure costretto a cantare al Karaoke una canzone, ed abbiamo riscosso un gran successo nel mugolare " Can You Feel The Love Tonight" mentre Elton John immagino si stesse piegando dal dolore allo stomaco dall'altro capo del mondo.
Non solo abbiamo banchettato e brindato gratis, ma abbiamo anche ricevuto un' offerta di lavoro come insegnanti di inglese in una scuola.
Una cosa molto normale da quando sono arrivata qua in Cina, essere invitati a cena e ricevere offerte di lavoro intendo: tutti i miei datori di lavoro mi hanno minino offerto due pasti, e di proposte qua ne ho ricevute già sei. Mi hanno chiesto di diventare modella, molti di insegnare  inglese o addirittura italiano, ed ho pure girato uno spot pubblicitario per promuovere un apparecchio che calcola con dei raggi infrarossi le calorie dei cibi (vi giuro che non mi sto inventando nulla, vi avevo avvertiti che fino ad ora gli avvenimenti sembrano usciti fuori dal copione cinematografico di una commedia).
Attualmente ho accettato di lavorare part-time per un asilo nido: io e Niccolò, l'altro compagno di avventure Italiano, ci presentiamo ogni weekend all'asilo per giocare con i bambini e parlare con i genitori che incuriositi ci chiedono da quale parte lontana del mondo proveniamo. Ed è così che la scorsa domenica, dopo poche ore di sonno e qualche birra di troppo del sabato sera, ci siamo ritrovati ad insegnare come si gioca a "giro giro tondo" a degli impacciati genitori cinesi.
Avere due ragazzi occidentali ha praticamente raddoppiato nel giro di una settimana il numero dei bambini: siamo una trovata pubblicitaria, un'attrazione, come dei panda in uno zoo.
 L'esperienza all'asilo è molto bella, non ho un gran che da fare, il mio unico compito è quello di stare con i bambini, e vederli sorridere mi riempie di gioia il cuore. Devi guadagnarti la loro confidenza, all'inizio ne ho fatti  piangere almeno  tre o quattro solo facendo loro "ciao ciao" con la mano, stanno imparando a conoscermi e vi giuro che non c'è felicità più grande di quella di vederli ridere mentre giocano con me con un semplice palloncino.
Ogni weekend a fine mattinata lavorativa siamo "costretti" a farci offrire il pranzo da qualcuno: ho una paura matta di ingrassare, non so proprio come dire di no ad una persona che amorevolmente mi offre cibo in segno di rispetto e gratitudine ed è ansiosa di sapere se mi piace o meno quel che mangia quotidianamente.
Riempiono piatti e bicchieri a non finire ed ho conosciuto persone di una gentilezza assurda: pochi giorni fa una ragazza che lavora all'asilo ha preso 3 autobus diversi e fatto un ora e mezzo di viaggio solo per venire  fino alla mia università a portarmi del cibo che lei stessa aveva cucinato a casa. Avere per amica una ragazza occidentale fa moda, tutti ci vogliono ma ci sono anche alcuni che ci temono. Molti scappano non appena provi a cercare approccio per chiedere che autobus prendere, altri mi guardano intimoriti ed iniziano a fare una risata nervosa sotto i baffi, ma l'esperienza più strana l'ho avuta ieri quando una ragazza appena uscita dal bagno vedendomi ha lanciato un urlo terrorizzata ed è corsa via.
Non avere gli occhi a mandorla ma i capelli chiari e gli occhi verdi è strano: sono esotica e spicco come un puntino bianco tra mille neri.
Non osate mai dire ad un cinese che per voi sono tutti uguali, perché anche noi occidentali per loro siamo praticamente identici, ma speciali.

lunedì 10 ottobre 2016

Orient Express (???)

Da quando ho iniziato l'università viaggio in treno molto spesso: abitando a Venezia e facendo avanti e indietro tra Toscana e Veneto oramai sono diventata un' esperta di Frecce Rosse, Argento, treni Italo e regionali "veloci" (aggettivo che spesso non si addice ad un qualsiasi treno di Trenitalia).
Ho spesso documentato sui social network i ritardi di ore, i treni cancellati o bloccati  nel bel mezzo della campagna toscana senza giustificazione ma con un cordiale "ci scusiamo per il disagio" e non pensavo che il mio amore sconfinato per starmene seduta a guardare fuori dal finestrino del mio vagone con la colonna sonora perfetta dentro la playlist del mio cellulare mi avrebbe mai portato a fare 20 interminabili ore di viaggio su un treno cinese.
Ebbene sì, uno dei mezzi prediletti per viaggiare all'interno dell'immenso continente giallo è il treno e non sono poche le persone che hanno viaggiato sulle rotaie durante la settimana di festa per celebrare l'anniversario della nascita della Repubblica Popolare cinese. Mentre i voli arrivano a prezzi assurdi i viaggi in treno hanno una tariffa costante: puoi anche scegliere di partire da un giorno ad un altro senza alcuna sorpresa sul prezzo del biglietto, ma augurandoti di non viaggiare in piedi per molte ore.
La scorsa settimana ho organizzato un viaggio last minute verso Xi'An e Pechino ed il modo più economico per questo spostamento improvvisato è stato il treno, mezzo assolutamente non frequentato da turisti che preferiscono la velocità e la comodità di un aereo. In un treno cinese puoi scegliere una tra tre diverse modalità di viaggio: sedili duri, cuccette dure o cuccette morbide.

Essendo una mosca bianca nella carrozza con i sedili duri direzione Xi'An mi sono giocata le scomode ore di sonno tra una foto ed un' altra con i passeggeri di mezzo treno, come se fossi Angelina Jolie che casualmente appare in un vagone di terza classe sperso non so dove nella regione del Gansu. Capisco lo stupore dei passeggeri nel vedere una ragazza dagli occhi verdi ed i capelli castano chiaro: la maggior parte di questi provenivano da zone rurali che non hanno mai conosciuto l'occidente.
 Nel vagone con i sedili duri c'è anche chi paga per farsi il viaggio in piedi e per questo si possono trovare persone che si adagiano a terra nonostante lo sporco, non che la stoffa color blu delle sedute sia il massimo del pulito, o che sperano in un minuscolo angolo dove appoggiarsi per qualche minuto per riposare le gambe stanche. C'è chi sputa a terra senza problemi, fuma sigarette tra una carrozza ed un'altra e chi mangia noodles precotti producendo ogni sorta di strano suono con la bocca e magari schizzandoti con la salsa piccante. La parte più bella del viaggio è quando il treno finalmente si svuota e ti puoi distendere non curante dei pidocchi che prenderai ma preoccupandoti solo di trovare una posizione che non ti faccia svegliare con il torcicollo. La notte di viaggio verso Xi'An ero così stanca che sono letteralmente crollata su 4 sedili avvolta nel mio giacchetto color verde bottiglia, cambiando lato ogni ora ed arrivando agli estremi del contorsionismo per trovare la giusta posizione per dormire.

Tutta un'altra storia è stato il viaggio verso Pechino: ho avuto la fortuna di viaggiare nel vagone con le cuccette dure. Mi sembrava un hotel a 5 stelle visti i miei standard precedenti, e nonostante il cinese che russava profondamente o la bambina di otto anni che si arrampicava sul mio letto a castello fissandomi con uno sguardo da bambola assassina ho adorato quel viaggio, comoda nella mia cuccetta a guardare fuori il panorama sempre annebbiato dallo smog.

I treni mi piacciono per immaginare la vita degli altri passeggeri, per nuotare all'interno dei loro occhi e riuscire a pescare in questi una buona storia da raccontare. A volte non c'è nemmeno bisogno di immaginare, ma sono gli altri a voler condividere con te la loro storia: essere occidentale è di grande aiuto, i cinesi che hai intorno spesso sono impazienti di parlare con te magari usando quelle 10 parole che conoscono in inglese o ostinandosi a parlare il cinese ad una velocità supersonica mentre te, non capendo assolutamente nulla, continui a sorridere ed annuire pure quando ti chiedono "Da dove vieni?".
Ho incontrato coppie che andavano a trovare i genitori di lei per le vacanze, famiglie molto povere che hanno passato maggior parte del viaggio in piedi con dei bambini aggrappati alle spalle vestiti di stracci, militari che riuscivano a passare un po' del loro tempo con le mogli che vedono solo una volta all'anno ma che amano così follemente da mostrare a chiunque con orgoglio le foto del matrimonio.

I treni hanno molte storie da raccontare, parlano lentamente e non sono come gli aerei:  quelli sono per chi non ha tempo e voglia di fermarsi ad ascoltare.
 

sabato 1 ottobre 2016

Comunicare

Ormai è quasi passato un mese dal mio arrivo in Cina, il tempo è volato ma allo stesso tempo ho la sensazione di trovarmi qua da un eternità. Le difficoltà sono state molte, la differenza culturale è enorme e spesso mi sono sentita investire da parole che mi suonavano aliene nonostante studiassi il cinese da due anni. Ebbene sì,  questi due anni di studio sono serviti a raggiungere una proprietà di linguaggio pari a quella di un bambino di 3 anni che impara a formulare le prime semplici frasi, anzi credo che un bambino cinese di tre anni si faccia capire molto meglio d me.
Sono state svariate le situazioni in cui mi sono sentita una completa incapace, e so che saranno ancora molte: una lingua così diversa dalla mia, così complessa  che non permette il minimo errore di pronuncia non è facile da acquisire su un libro chiusi nel proprio studio copiando mille volte il medesimo carattere.
Una lingua si impara vivendola, e vivendola si incontrano numerose difficoltà così che semplici azioni come ordinare qualcosa da mangiare alla mensa universitaria diventa un'impresa impossibile da ricorrere a fare delle foto al piatto che si vuole mangiare per non rischiare di prendere chissà quale intruglio piccante . L’università in cui mi trovo è una vera e propria torre di babele, ci sono diversi, anche se non troppi, studenti stranieri: molti hanno un' ottima padronanza del cinese e dell’inglese, altri a malapena comprendono le frasi più semplici formulate in inglese. Sento parlare molto spesso in Russo, qua c’è un grande comunità Kazaka che non capisce una parola di inglese: spesso mi sono trovata a comunicare come se fossi un mimo in papillon in un qualche vicolo di Parigi  durante una incredibile performance. Mi domando come una persona che non conosce una sola parola di inglese o di cinese riesca sopravvivere qua, per sopravvive la comunicazione raggiunge davvero livelli imbarazzanti a volte.
Ho peró anche incontrato persone che mi hanno lasciato letteralmente a bocca aperta: per cambiare la mia stanza con un'altra che non avesse un bagno che assomigliasse ad una scena di Saw l’Enigmista  mi sono ritrovata insieme alla mia coinquilina colombiana ad esser aiutata da un simpatico gruppo di Pakistani bravissimi in cinese: dopo vari interessanti passaggi inglese-cinese, cinese -inglese ed un 'ora e mezzo circa per capire quali altre camere fossero libere siamo arrivati ad ottenere una bellissima stanza doppia con un bellissimo bagno che non ha tubi sradicati dalle pareti ma solo due sopportabili perdite dal soffitto ed un water che si intasa spesso.
Non so cosa abbia spinto quel simpatico gruppo di pakistani ad aiutare due perfette estraneea comunicare con un cinese che non capisce manco "hello", ma esiste una sorta di solidarietà tra studenti stranieri, e chi conosce meglio la lingua si sente  come in dovere di aiutare.  In questo mio per ora breve soggiorno qua, io e l'altro ragazzo italiano, Niccolò e la mia compagna di stanza, Daniela ne abbiamo affrontate davvero di tutte colori e ci riteniamo fortunati di aver incontrato un ragazzo tedesco che parla il cinese meglio dei cinesi: Konstantin, che frequenta "comprensibili" lezioni della facoltà di legge di Lanzhou.
Mi sono trovata in situazioni paradossali, come vedere un tedesco che legge libri in cinese ad una velocità impressionante, e da ripetizione di lingua ad italiano, una colombiana ed un etiope in una squallida stanza di dormitorio.
Non so se arriveró mai ad avere la capacità di parlare bene quanto lui una lingua difficile come il cinese : ci vuole naturalmente tanta dedizione, impegno e (purtroppo) predisposizione. Non potete immaginare quanto sia brutto quando ti si bloccano tutte le parole in gola e produci strani suoni che più che assomigliare al cinese suonano come il lamento di un gatto in calore.
Ad ora comunque posso dire di aver raggiunto qualche buon risultato con la lingua, me la cavo nelle conversazioni più semplici e per lo più capisco quello che mi dicono e a mensa so cosa ordinare: infatti è circa un mese che mangio ogni giorno la stessa  cosa che so pronunciare davanti alla gentilissima signora che lavora dietro i fornelli della mensa, la strada è ancora lunga.

mercoledì 14 settembre 2016

A metà strada

Tra i grattacieli costellati di neon non è difficile intravedere la sagoma di qualche antico tempietto, e accanto alla BMW ferma al semaforo spesso sfreccia un risciò che non rispetta mai il codice della strada, ed uno sciame di motorini cavalcati da spavaldi senza casco con aggrappati dietro 3 passeggeri. Le città in Cina sono un simpatico compromesso tra occidente ed oriente: persone con una cultura così radicata che pretendono di nasconderla dietro qualche parvenza di modernità.
Lanzhou, come la maggior parte delle città cinesi, è una città che ha avuto un enorme crescita e sviluppo e che ancora sta crescendo: appena ti affacci alla periferia della città  i grattacieli  spuntano dal nulla come funghi, e crescono ogni giorno più alti facendo della città stessa un cantiere a cielo aperto ed in progetto c'è anche la costruzione di una rete metropolitana che sperano di completare in meno di tre anni: una crescita così veloce che credo non dia il tempo alle persone di adattarsi ai cambiamenti.
Questo (mancato) tentativo di occidentalizzazione rende la città ancor più esotica ai miei occhi: accanto a degli enormi centri commerciali pieni di luci che ostentano i nomi delle marche più famose ci sono piccole botteghe con l'insegna decadente che ti offrono in un ambiente molto casalingo degli ottimi 牛肉麵, noodles in brodo di manzo con verdure, rigorosamente serviti piccanti.
Giri l'angolo e ti imbatti nuovamente in un negozio della Nike con davanti fermo uno dei migliaia carretti che vendono frutta di ogni tipo a prezzi irrisori.
Una delle  parti più vive e vere di Lanzhou è il mercato notturno: da quando sono arrivata ci sono stata almeno 3 volte per mangiare del buon cibo di strada, non preoccupandomi naturalmente della condizione igienica in cui viene servito.
Camminando nella stretta viuzza braccata da mille bancarelle puoi assaggiare qualsiasi tipo di pietanza, dagli spiedini di carne piccante fino al naso di maiale glassato per non parlare della famosa zuppetta di latte caldo e uova: ti arrivano al naso una miriade di buoni odori e di puzze insopportabili. Caos, disordine, il fumo delle braci che annebbia il tuo procedere in quel mondo parallelo che sembra così autentico da non essere nemmeno un po' turistico. Lanzhou non è una meta turistica, tutte le guide la descrivono come una zona senza niente di particolare da visitare, per questo è una città che ancora vive chiusa dall'occidente e te unico europeo che si aggira tra mille volti dagli occhi a mandorla ti senti un po' un alieno.
Alcuni ti fissano con stupore misto a paura, non ti parlano né ti guardano negli occhi, altri invece sono esaltati nel vederti e vieni trattato come una specie in via d'estinzione: ti scattano foto di nascosto o ti chiedono molto ingenuamente di fare un selfie assieme.
Si trovano a metà strada, ancora molto legati al loro lato orientale ma protratti verso quello che la globalizzazione offre: praticano Tai Qi al mattino e poi magari a pranzo si mangiano un hamburger da Dico's, una catena fast food cinese che assomiglia molto al McDonald's,  molti bambini piccoli sono ancora vestiti con le tipiche tutine che mostrano le loro parti genitali così da poter urinare qualsiasi volta vogliono per strada mentre le loro madri sono intente a mandare messaggi ad una chat di gruppo su WeChat con un telefono ipertecnologico. Vivono una crisi di identità, oppure si stanno adagiando a questa mezza via tra due mondi così distanti?
L'altro giorno sono stata su una delle montagne che accerchiano la città dove fioriscono nel silenzio, lontani dal caos del traffico cittadino, numerosi piccoli monasteri buddisti: un anziano con un cappello di paglia guardava l'orizzonte costellato da grattacieli, da lì si sentivano a malapena i clacson impazziti della città ma si poteva sentire il cuore pulsante di un luogo che cresce giorno dopo giorno ma non va di pari passo con le persone che vi sono nate. 

mercoledì 7 settembre 2016

Primo impatto

Mi sembra impossibile essere ancora tutta intera dopo un viaggio durato quasi una giornata e mezzo . 
Quando ancora era buio sono salita in auto per arrivare all'aeroporto: è stato un po' come andare sulle montagne russe, sali piano piano mentre la salita si fa sempre più ripida inizi a ripetere dentro di te che la discesa è ormai vicina. 
 
L'adrenalina sale e ti senti una mano che ti stringe lo stomaco, lo spreme come un tubetto di ketchup, forse anche per questo non è consigliato andare sulle montagne russe dopo un bel cheeseburger con patatine fritte.
Quella mano ti si avvinghia allo stomaco, e ci sei non hai il coraggio di guardare giù e già precipiti nel vuoto: arrivare dopo 10 ore di volo e 7 di scalo a Lanzhou  è stato così ed ancora devo realizzare di essermi buttata in questa avventura.
Vi starete chiedendo : "Lanzhou? Dove cavolo si trova Lanzhou?" È stata la stessa domanda che mi sono posta quando ho letto il nome della mia destinazione .
Ammetto di non essere un genio in geografia, a volte sbaglio pure alcune capitali europee, sono una frana praticamente, ma tutte le persone che mi domandavano dove andavo di bello in Cina erano confuse ogni volta che rispondevo loro il nome di questo posto sperduto nel Gansu. In Europa sbagliamo a vedere la Cina solo come Pechino o Shanghai:  è piena di sfaccettature interessanti e città bellissime anche se non molto conosciute a noi occidentali. Anche molti  miei compagni di università hanno scelto mete meno celebri ma a detta di wikipedia o guide turistiche molto belle e verdi. La descrizione che ho trovato di Lanzhou invece è stata: "è tra le città più inquinate in Cina  non c'è niente di interessante da fare o da vedere", invitante no? 
Già mi ero immaginata un posto grigio e triste senza attrattive dove mi sarei morta asfissiata dallo smog o dalla noia.
Buttando giù il boccone amaro e cacciando i mille pregiudizi che mi ero fatta  sono partita per "Laggiù",  parafrasando il simpatico gioco di parole che miei genitori hanno fatto considerando che questa città oltre a non esser molto turistica si trova pure  lontana dalle mete più turistiche in Cina.
In fin dei conti, anche se non mi trovo qua da molto tempo la mia cara Laggiù non mi pare così male: è grandissima, e devo ancora scoprirla tutta.

 
 
 

 
 
Vedere la mia camera è stato un altro colpo basso che non mi aspettavo; sapevo che i cinesi non sono maestri della pulizia ma non mi aspettavo fossero così trasandati: ho pianto come un neonato quando ho visto il bagno che dovrò usare per i prossimi 5 mesi. Dopo aver visto anche le altre camere ho appreso che nemmeno chiedendo di cambiare stanza le cose sarebbero migliorate, ma molto probabilmente peggiorate. Tubi scoperti, lavandino quasi spaccato a metà, doccia con acqua calda solo 3 volte al giorno per due ore e sporco, sporco di ogni genere ovunque: la mia camera appena arrivata era un parco divertimenti per i pidocchi e batteri, l'idea di mettere una moquette in un dormitorio  è pessima, fidatevi. Sono abituata alle situazioni spartane, e vi giuro nel momento in cui ho visto la mia stanza ho pregato per avere una tenda e dormire fuori. 

Ci vuole un grande spirito di adattamento, novn posso cambiare la stanza ma posso migliorarla, mi sono detta; voi  non potete immaginare come un semplice lenzuolo rosa a fiori  un aspirapolvere e del disinfettante riescano a fare miracoli! 
Ho passato la maggior parte del tempo a pulire e a migliorare una camera assieme alla mia nuova coinquilina Colombiana in questi due giorni: è diventata decente anche se ha lo stesso odore di una piscina comunale per la varechina che ho sparso ovunque. 
 Siamo solo all'inizio di questa avventura, sono tante le difficoltà che dovrò affrontare e sono pronta (credo) ad affrontarle. 


giovedì 1 settembre 2016

Nostalgia prima di una partenza

L'odore della terra bagnata scatena in me una miriade di ricordi: una semplice mattinata di pioggia di fine agosto ha cancellato il ricordo sbiadito di un estate un po' strana e riportato con veemenza il profumo dei colori autunnali ormai alle porte.
Non sono mai stata un amate delle calde giornate estive, forse perché non le ho mai vissute a dovere, mai quanto vivo con passione i tristi e grigi pomeriggi autunnali.
Mi piace il silenzio interrotto dalla pioggia, udito al caldo tra le mie coperte abbracciata ad un libro, mi piace sentirmi sicura e cullata dalla mia malinconia.
Quelle prime gocce d'acqua hanno cancellato ogni traccia dell'afa estiva: mi hanno fatto pensare alla scuola, che ormai non frequento più da qualche anno e alla frenesia nella scelta dei nuovi quaderni e diari appena entravo in una cartoleria.
Ricordo come meticolosamente preparavo il mio rientro tra i banchi con un entusiasmo che pochi bambini avevano a fine estate. Pensavo già ad Halloween e all'amore per il colore arancio e le cioccolate calde, la sveglia presto al mattino quando ancora tutti dormivano ed il rumore dei miei passi che si avviavano verso la fermata dell'autobus.
Mi manca quella routine, ed il modo in cui ogni giorno fosse a uguale al precedente, adoravo stringermi nei maglioni dell'anno passato che ancora odoravano di naftalina e mi piaceva iniziare già a pensare al Natale ed alle luci che illuminavano delle giornate fin troppo brevi.
Non esistevano litigi su cosa fare e dove andare al mare, come d'estate, ma era proprio bello non dover far nulla che non fosse la normale routine casalinga.
Suona strano sentire queste parole da una tipa che ha passato la maggior parte della propria adolescenza con il desiderio di scappare dalla normalità e dalla quotidianità: sono una nostalgica ed ora che non sto preparando uno zaino con i libri per tornare al liceo mi manca questa sicurezza che mi dava settembre.
Invece di uno zainetto mi ritrovo a preparare una valigia già da due anni, da quando ho iniziato l'università e mi sono trasferita a Venezia lasciandomi alle spalle il comfort di vivere a casa con la propria mamma che lava e stira .
Questa volta mi trovo a preparare una valigia un po' più leggera: i tanto temuti 23 kg richiesti dalle compagnie aeree, e credevo un' impresa quasi impossibile riuscire ad infilare dentro quella mia cara compagna di avventure di colore rosso tutto il superfluo necessario per un avventura che durerà 5 mesi. Non è la prima volta che viaggio all'estero da sola, ho sempre amato viaggiare: mia mamma giustifica sempre questo mio amore per gli spostamenti con il fatto che sia nata sotto il segno del sagittario, mentre mio padre pensa che sia stato lui a trasmettermi questa passione per l'avventura e le nuove scoperte. Non sono mai stata lontana da casa per più di un mese e mezzo, questo un po' mi spaventa e mi carica di un adrenalina strana che a volte confondo con l'ansia che mi si aggrappa alla bocca dello stomaco e non mi lascia respirare. Che vuoi che sia? Tanti miei amici sono partiti per Erasmus più lunghi, o sono andati a lavorare in Inghilterra per anni e li ho sempre un po' guardati con invidia ed ora che vado a vivere a 10 ore di aereo da casa e mi prende l'ansia, io che adoro viaggiare e quando sono a casa pur di uscire vado anche 2 volte nello stesso giorno al supermercato.
Domani all'alba caricherò la mia valigia in auto e mi dirigerò all'aeroporto, saluterò i miei genitori e mia sorella che sicuramente avranno ancora gli occhi chiusi dal sonno e me ne andrò, come hanno già fatto tanti miei compagni di università.
"Ma una nipote normale? Una che studiava a Pisa e che magari a quest'ora aveva un bel fidanzato no?" ha detto l'altro giorno mia nonna: non sono quel genere di nipote, non sono quel genere di ragazza "normale", forse ho aspettative troppo alte, sono un inguaribile sognatrice ad occhi aperti ed anche se mi viene l'ansia quando devo scegliere che tipo di pizza prendere prima che arrivi il cameriere, sono sicura che questa volta aver scelto di buttarmi sugli involtini primavera ed il riso alla cantonese non è stata poi una cattiva idea quanto feci la tanto sofferta scelta della facoltà universitaria: partirò con questa sana ansia caratteristica del mio carattere pronta a vivere una delle mie mille avventure, Cina sto arrivando.